Storie

Salute mentale: la storia di Samuel, che alla Casa ha trovato la cura di cui aveva bisogno

Da sempre la Casa accoglie persone con problemi di salute mentale. Ciò che cura alla Casa della Carità è anche il clima di una vera e propria casa, dove chi sta meglio aiuta chi sta peggio.

La Casa della Carità ha una lunga storia di accoglienza e sostegno a donne e uomini con problemi di salute mentale che, come tutte le persone ospiti, sono seguite da personale specializzato – psichiatre e psichiatri, psicologhe e psicologi – che fanno parte di un’équipe multidisciplinare, insieme a educatori ed educatrici, assistenti sociali, mediche.

Oltre alla presenza di specialisti con la loro competenza tecnica, però, ciò che cura alla Casa della Carità è anche il clima di una vera e propria casa, dove gli ospiti che stanno meglio aiutano e fanno da traino per chi sta peggio.

Una storia esemplificativa di come la mescolanza che si vive tra chi è più fragile e chi lo è meno sia positiva è la storia di Samuel, uno degli ultimi ospiti arrivato in via Brambilla.

Samuel: da Parigi a Milano, dal carcere alla strada

La racconta Laura Arduini, psichiatra e responsabile del Settore Salute della Casa della Carità: «Samuel, dopo un periodo di ricovero in un ospedale psichiatrico di Parigi, è arrivato in Italia dove, non seguito per la sua patologia, ha commesso un reato che lo ha fatto finire in carcere a Milano».

Scaduti i termini, Samuel è stato scarcerato in attesa di entrare in una REMS (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza, una struttura sanitaria di accoglienza per autori di reato affetti da disturbi mentali e ritenuti socialmente pericolosi) ma dal momento che queste strutture sono piene, di fatto è finito in strada. «Il che è un po’ assurdo, perché nelle REMS ci finiscono le persone che sono considerate socialmente pericolose e quindi potenzialmente è stata lasciata in strada una persona che è ritenuta pericolosa», commenta Arduini.

Quando si legge la parola REMS, spesso ci si spaventa, ma la Casa ha comunque accettato la sfida di accogliere Samuel che, seguito, curato e inserito in un contesto per lui positivo, si è dimostrato una persona molto affettiva, mite e anche con delle competenze non comuni rispetto ad altri ospiti stranieri, tanto che ha finito la scuola superiore e ha studiato al conservatorio.

Lo stigma verso la malattia mentale è ancora molto forte

«Pian piano Samuel si sta stabilizzando. Ora la nostra difficoltà è quella di farlo prendere in carico da un servizio pubblico, che certifichi che lui ha fatto percorso virtuoso così che lo possa proseguire in affidamento terapeutico e non finire in una REMS. Facciamo però fatica a trovare qualcuno che lo segua perché tutti, anche i servizi stessi, hanno un pregiudizio sulla sua pericolosità», spiega Laura.

Anche tra gli addetti ai lavori, è infatti ancora forte lo stigma che vede le persone con patologia psichica, a maggior ragione se sono immigrate, come persone pericolose e fuori controllo e che per questo devono essere confinate nelle REMS, dove però si rischia di rimanere a vita, o in strutture per lungodegenti.

«Dobbiamo invece partire dall’assunto di fondo che la malattia mentale non è sinonimo di pericolosità, tanto che è statisticamente provato che le persone con patologia psichiatrica compiono meno reati di persone senza patologia», precisa Laura Arduini.

Che conclude: «Seguendo l’insegnamento di Basaglia, noi abbiamo scelto di accogliere anche le persone più problematiche, ponendoci l’obiettivo che, lavorando in rete con i servizi pubblici e del privato sociale, non finiscano in luoghi chiusi, di internamento e separazione dal resto della comunità, ma possano continuare a vivere in luoghi aperti e di inclusione».

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