Storie

Sefir, cuoco della fratellanza

Walid Sefir è lo chef della nostra mensa. Gli abbiamo chiesto che cosa significa occuparsi dei pasti alla Casa della Carità quando ci sono dei momenti particolari come il Ramadan o le festività cristiane.

Walid Sefir è tunisino. Ha 43 anni e da 23 vive in Italia dove, dice, si sente a casa. Alla Casa è arrivato, come ospite, nel marzo 2005. Dal 2008 non vive più in via Brambilla, ma alla sede della Fondazione viene quasi tutti i giorni: Sefir, infatti, è lo chef della mensa della Casa della Carità.

A lui abbiamo chiesto che cosa significa occuparsi dei pasti alla Casa della Carità quando ci sono dei momenti particolari come il Ramadan – il mese in cui in musulmani praticano il digiuno e l’astinenza dall’alba al tramonto, in commemorazione della prima rivelazione del Corano a Maometto – o le festività cristiane, dal Natale alla Pasqua.

Per le feste Sefir prepara i piatti delle diverse tradizioni

«Quest’anno sono una ventina gli ospiti che fanno il Ramadan, che comincia il 23 marzo. Ogni sera prepariamo dei sacchetti per la colazione, che deve essere fatta prima dell’alba. Man mano che il Ramadan cade in anticipo nel calendario, l’orario della rottura del digiuno capita nell’orario di apertura della mensa. Ma, quando il Ramadan è durante l’estate, posticipiamo l’orario e chiudiamo più tardi, per aspettare che i ragazzi scendano a mangiare», spiega lo chef.

Sefir conosce bene gli ospiti della Casa e sa, per esempio, chi ha delle patologie o sta seguendo delle cure e per questo, secondo le regole del Ramadan, non può digiunare. Confrontandosi con gli operatori, sta attento anche a questo aspetto.

In questo periodo, gli ospiti chiedono a Sefir di preparare loro dei piatti tipici: «A loro piace la zuppa o la verdura frullata, perché per rompere il digiuno è meglio mangiare qualcosa di liquido. Io cerco di accontentarli e soprattutto di fargli trovare del cibo caldo, perché dopo molte ore di digiuno, a volte anche 18, bisogna mangiare un pasto caldo».

Richieste a cui lo chef va incontro anche in occasione delle festività cristiane: «Soprattutto gli ospiti italiani, che hanno il mio numero, mi scrivono su whatsapp per chiedermi dei piatti. Siccome anche io ho vissuto in questa Casa, so cosa significa quando a qualcuno manca la casa e gli manca quel piatto che gli piace e che magari gli ricorda la famiglia. Allora, quando mi fanno queste richieste, siccome anche io sono stato nella loro situazione, sono disponibile. È una cosa importante e a me piace dare una mano».

La “convivialità delle differenze” a tavola

Ed è proprio alla mensa della Casa della Carità che, molto spesso, si vive quella “convivialità delle differenze” di cui parlava don Tonino Bello.

Racconta sempre Sefir: «È bello far conoscere anche le tradizioni degli altri. Quando c’è la nostra festa, tutti sono contenti perché, per esempio, ci sono dei dolci che facciamo solo nel mese di Ramadan e quando ci sono li distribuiamo a tutti. Oppure a Natale si festeggia tutti insieme; vengono anche persone da fuori, dei volontari e gli anziani di Doudou e quando vedono che c’è un menù bello, fatto con il cuore, mi ringraziano e questo mi dà soddisfazione».

Sefir ricorda anche di quando alla Casa della Carità, prima della pandemia, venivano invitate le comunità musulmane milanesi per vivere insieme l’Iftar, la rottura quotidiana del digiuno. O, viceversa, l’invito per le comunità cristiane a vivere l’Iftar alla moschea di Cascina Gobba: «C’è rispetto reciproco e questa è la fratellanza tra cristiani e musulmani, che c’è sempre stata. Poi ci sono quelli che vogliono creare dei problemi, ma per fortuna ci sono persone buone, persone oneste, che vanno avanti e credono nella fratellanza e che possiamo vivere insieme cristiani e musulmani».

Approfondisci

Quaresima e Ramadan. Leggi la testimonianza degli operatori Fiorenzo De Molli e Doudou Khouma. Clicca qui.


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