Le storie di Yassen e Yama sono un esempio di quanto la nostra società e alcune istituzioni possano essere molto respingenti, rischiando di far entrare le persone in una spirale ad alto rischio di esasperazione, devianza e anche violenza. L’accoglienza e l’inclusione generano invece positività
Da tempo, sia a livello nazionale che comunitario, si sono fatte strada politiche che affrontano l’immigrazione solamente in ottica securitaria, con un ricorso a misure sempre più restrittive nei confronti di chi arriva in Italia e in Europa e di chi, come le organizzazioni non governative, aiuta queste persone.
La nostra esperienza ci dice che queste limitazioni non arrestano le migrazioni, perché i motivi per cui le persone lasciano i loro Paesi sono molto più forti di tali restrizioni, e che è possibile affrontare questo fenomeno mettendo in campo politiche di accoglienza e inclusione sociale.
A dimostrarlo ci sono le storie di tantissime persone accolte o seguite dai servizi della Casa in questi 20 anni. Come Yassen, un uomo eritreo che oggi ha 41 anni. A raccontare la sua storia è Peppe Monetti, responsabile dello sportello di tutela legale della Casa della Carità.
«Yassen è arrivato in Italia nel 2013. È sbarcato in Sicilia, dove gli è stata riconosciuta la protezione sussidiaria1. Parla un discreto italiano e da quando è arrivato ha sempre lavorato, peraltro con una professionalità molto elevata, perché aggiusta i motori degli aerei», esordisce Peppe.
Negli anni si è prima spostato in Abruzzo e poi, come molti suoi connazionali, si è trasferito in Svezia in cerca di condizioni economiche migliori. Nel 2021, dovendo rinnovare i documenti, è tornato in Italia ma, spiega Monetti «non si capisce perché la sua pratica si è bloccata ed è rimasta ferma per 3 anni».
Con i documenti scaduti e ormai senza lavoro, Yassen è venuto a Milano in cerca di aiuto, dal momento che in città vive una numerosa comunità eritrea.
Una relazione non facile
«Noi lo abbiamo conosciuto perché si è presentato allo sportello legale per chiedere aiuto per il rinnovo del permesso di soggiorno – racconta Peppe – era molto arrabbiato e rivendicativo, perché prima di arrivare qui aveva trovato solo porte chiuse».
La relazione con lui non è stata facile: «Veniva qui spesso, litigando con tutti gli operatori che incontrava, quasi che a un certo punto abbiamo pensato che non fosse più il caso di farlo entrare. Però abbiamo tenuto botta, cercando di non fermarci a come si comportava, ma provando a capire che cosa ci fosse dietro tutta la sua rabbia e la sua esasperazione», dice l’avvocato della Fondazione.
E dietro la rabbia di Yassen, oltre alla lunga attesa per il rinnovo del suo permesso, c’era il fatto di essere rimasto per strada, perché dopo un po’ gli amici non lo hanno più ospitato. E anche, non potendo lavorare, la frustrazione di non aver potuto mandare per molto tempo i soldi alla famiglia rimasta in Eritrea.
Fortunatamente, dopo mille peripezie, Peppe Monetti è riuscito a sbloccare la situazione: Yassen ritirerà presto il suo documento e lo hanno già chiamato dall’aeroporto di Linate per un lavoro.
«Questa storia è un esempio di quanto la nostra società e alcune istituzioni possano essere molto respingenti, rischiando di far entrare le persone in una spirale ad alto rischio di esasperazione, devianza e anche violenza. Invece l’accoglienza genera una serie di positività che vanno oltre quello che fai, come con Yassen, che aveva semplicemente bisogno di essere sostenuto e aiutato», commenta Monetti.
Che aggiunge anche la storia di Yama un’altra giovane ospite, che un giorno si è presentata in lacrime al Centro di Ascolto, con un sacchettino dove aveva tutta la sua roba, quasi mortificata per dover chiedere aiuto. Anche lei, pur avendo lo status di rifugiata, non riusciva ad avere il permesso di soggiorno.
Accolta alla Casa, Yama è come rifiorita. Racconta Peppe: «Ha trovato lavoro da sola e, visto che sogna di far venire qui i suoi figli, sta cercando lavoro in Sicilia perché sa che lì le case costano meno e può trovare un posto più grande dove far vivere i suoi bambini. È una persona intelligente e capace, ma quanto è stata respingente l’Italia nei suoi confronti? Quanto è stato difficile il suo percorso? Se non ci fosse stato qualcuno che a un certo punto le ha dato una chance e un po’ di accoglienza chissà che cosa ne sarebbe stato di lei».
«E noi non abbiamo fatto molto per lei: le abbiamo solo dato un posto pulito, accogliente, caldo dal punto di vista umano, dove stare e dove ripartire e l’abbiamo aiutata a rinnovare i documenti. Ma sono tanti quelli a cui mancano anche queste piccole cose», conclude.
Possiamo aiutarti?
- Se hai bisogno di aiuto per il rinnovo dei tuoi documenti, puoi rivolgerti allo sportello di tutela legale della Casa della Carità. Chiama il 3401264360 per prendere un appuntamento.
- La protezione sussidiaria è un’ulteriore forma di protezione internazionale. Chi ne è titolare – pur non possedendo i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato – viene protetto in quanto, se ritornasse nel Paese di origine, andrebbe incontro al rischio di subire un danno grave. ↩︎