“L’acqua non acqua” del giardino Zen – di Anna Felcher
Anna Felcher, nome di monaca Gomio, Scuola Zen Rinzai Zenshinji (TR).
“Guardando la superficie del mare puoi vedere le onde che salgono e scendono. Le puoi descrivere con aggettivi: alta o bassa, grande o piccola, più o meno vigorosa, più o meno bella. Osservando in profondità vediamo anche che le onde, allo stesso tempo, sono acqua.
L’acqua è libera dalla nascita e morte di un’onda. L’acqua è libera da alto e basso, più bello o meno bello. Puoi parlare in termini di più bello e meno bello, alto o basso, solo se parli di onde; per quel che riguarda l’acqua tutti questi concetti non hanno alcun valore.
Pratica come un’onda. Datti il tempo di osservare in profondità dentro di te e di riconoscere che la tua è una natura di non-nascita e non-morte”.
Queste sono le parole di un monaco Zen che ben introducono al tema dell’acqua visto attraverso i suoi occhi.
C’è anche un’altra prospettiva per osservare l’acqua.
Nel Buddismo Zen spesso le suggestioni proposte riguardo l’interpretazione e l’analisi di una tematica, spingono il pensiero verso il paradosso. In questo caso un bell’esempio è dato dall’“Acqua non Acqua” del giardino Zen.
Si ritiene in generale, che il giardino Zen sia originario dell’Isola di Honshu (isola centrale del Giappone), non a caso ricca di paesaggi naturali come cascate, laghi, ruscelli, spiagge pietrose, cime vulcaniche e numerose specie di piante e fiori.
Sotto l’aspetto religioso, il giardino giapponese è naturocentrico (a differenza di quello occidentale definito antropocentrico), asimmetrico e apparentemente casuale: esprime l’armonia dell’uomo con la natura.
Ogni elemento esprime un concetto. I soggetti, protagonisti e sempre presenti, sono la sabbia (di granito bianco, per dare luce alle zone vicine), intesa come rappresentazione dell’acqua, rastrellata in modo ondulato, secondo precisi disegni che ne simulano il movimento; e le rocce, come simbolo di montagne ed isole che si innalzano dall’oceano. Il tutto in un’ottica estremamente minimale tipica del Buddismo Zen.
Secondo la tradizione, le isole (pietre) sono un elemento fondamentale all’interno di un giardino Zen (chiamato anche giardino isola): sono simbolo di salute e longevità, sinonimo di solidità, consistenza e stabilità, all’interno di un ambiente in continuo mutamento come l’acqua.
Il giardino giapponese che meglio rispecchia il “paradosso dell’Acqua non Acqua” è il karesansui .
La caratteristica principale del karesansui (枯山水) è l’assenza dell’acqua, ovvero uno dei quattro elementi base del giardino giapponese insieme alle rocce, alle piante e agli elementi antropici del paesaggio. Questo vuol dire che anche i giardini in cui è presente una ricca vegetazione, ma non scorre acqua, sono comunque considerati karesansui. Solitamente vengono usati sassi, ghiaia o sabbia per rappresentare in maniera più o meno metaforica corsi d’acqua o stagni, ad esempio allestendo distese di ghiaia bianca modellata per simulare le onde, oppure accorpando grandi rocce come se ospitassero una cascata. Nel tentativo di rappresentare metaforicamente il concetto di acqua, i karesansui hanno raggiunto elevati livelli di astrazione fino a giungere a esiti talvolta criptici in cui l’interpretazione non è univoca, ma demandata all’osservatore o addirittura non esistente affatto.
Questo tipo di giardino mette da parte ogni tentativo di decorazione, per favorire invece la meditazione ed il senso di pace di chi se ne prende cura; infatti, il giardino ha da sempre avuto un ruolo fondamentale nel percorso e nello sviluppo della civiltà, esprimendo la relazione esistente tra un popolo ed il suo ambiente naturale.
Il giardino Zen: un’opera, un’arte in continuo cambiamento, un’oasi di pace che si può creare quasi ovunque, per fuggire alla vita frenetica delle città, per ritagliarsi un po’ di tempo per meditare e rilassarsi. È uno stile di vita e, così come il susseguirsi delle stagioni, anche il giardino Zen ha bisogno di cambiamento e segue i movimenti della natura e del tempo.
Per potersi approcciare alla realizzazione di un giardino Zen è necessario entrare in un’ottica minimalista ed essenziale, con pochi elementi collocati in modo ordinato e preciso. Per beneficiare dei privilegi che può offrire a chi se ne prende cura, si deve abbracciare e condividere i principi della filosofia Zen, in cui i tre pilastri sono: pensare, riflettere, meditare. È un metodo di spirito, di coscienza e mente.
Prendersi cura di un giardino Zen, o tenere un Bonsaki sulla scrivania, può aiutare a trovare un’idea, un’ispirazione, la vena creativa che non si pensava di avere, o semplicemente a tornare in armonia con l’ambiante e con se stessi.
Come ben descrive lo psicanalista Gaston Bachelard nel suo libro “Psicanalisi delle acque. Purificazione morte e rinascita”, noi occidentali siamo portati a produrre immagini che scaturiscono dall’osservazione dell’acqua, prive di solidità e che scatenano emozioni lievi a causa della loro natura sfuggente. La suggestione del giardino Zen invece apre orizzonti nuovi ed inesplorati, che sorprendentemente pacificano.
[L’immagine di apertura è di Simona Sambati]