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La residenza, primo passo per l’inclusione

Nel 2019 è nato ResidenzaMi, che dà la possibilità alle persone senza dimora di avere un indirizzo di residenza, che rappresenta il primo passo per l’inclusione sociale.

Dal 2019 la Casa della Carità, insieme a Caritas Ambrosiana e Cooperativa Farsi Prossimo, gestisce ResidenzaMi, il servizio del Comune di Milano dedicato alle persone senza dimora presenti sul territorio cittadino affinché possano accedere alla cosiddetta “residenza fittizia” o residenza virtuale.

Ne abbiamo parlato con gli operatori della Casa Diego Mazzocchi e Fiorenzo De Molli, che coordinano questo servizio.

Dal 2019 hanno avuto accesso al servizio oltre 17.800 persone. Chi sono queste persone?

Le situazioni che abbiamo incontrato sono le più varie: innanzitutto c’è chi non ha un tetto sopra la testa, perché vive in strada o in edifici dismessi, vive in macchina o ha trovato una soluzione di fortuna. C’è chi gira le varie strutture di accoglienza per senza dimora, dall’emergenza freddo al dormitorio di viale Ortles.

E poi ci sono tutte quelle persone che hanno una soluzione abitativa non stabile o non “regolare”: affitti in nero, affittacamere o posti letto, ospitalità presso connazionali, appartamenti sovraffollati e altro. Ci sono italiani e stranieri, regolarmente presenti sul territorio.

Tra gli stranieri, da una parte ci sono persone arrivate da poco, che quindi si stanno pian piano inserendo nel territorio cittadino, ma non hanno il potere economico per avere una casa e devono accontentarsi dell’affittacamere. Altri sono invece gli stranieri “della prima ora”, tendenzialmente sessantenni, che non hanno fatto in questi anni una scelta di vita, cioè hanno vissuto sempre tra l’Italia e il paese di origine dove hanno la famiglia e quindi vanno e vengono.

Gli italiani, in linea di massima, hanno una rete familiare e amicale che dà loro un po’ più di appoggio e di stabilità. Chi arriva qui è perché ha avuto qualche problema nel percorso di vita, che ha fatto saltare tutte le loro relazioni. I casi più classici sono il carcere e le separazioni.

Dove e come vivono?

Anche qui le situazioni sono le più diverse. Tra gli stranieri, c’è chi è arrivato a Milano perché conosceva qualcuno qua, ha trovato un lavoretto e un affittacamere nel quale è fisso anche da alcuni anni. Oppure ci sono persone che hanno girato chissà quanti posti letto, perché c’era o meno disponibilità, per convenienza economica, per vicinanza a un eventuale luogo di lavoro. Gli italiani di solito sono ospitati da amici e parenti, che magari vivono in una casa popolare, dove quindi non è possibile fissare la residenza.

Avete visto dei cambiamenti, in questi anni, rispetto alle persone che hanno avuto accesso al servizio?

Sì, si può dire che abbiamo vissuto epoche diverse. Il 2019, quando abbiamo iniziato, è stato l’anno in cui è stato lanciato il reddito di cittadinanza e, essendo la residenza un requisito per fare domanda, tante richieste di iscrizione anagrafica arrivavano anche per quello. Tra il 2020 e il 2021, quando invece è stato avviato il super bonus, abbiamo visto arrivare tantissimi cittadini extracomunitari, soprattutto provenienti dall’Egitto, con regolare contratto di lavoro nell’edilizia. Poi dal 2022, con lo scoppio della guerra, tanti ucraini e negli ultimi due anni moltissime persone sudamericane, che vediamo arrivare anche allo sportello legale.

Che cosa ci dicono questi dati della vita delle persone più fragili a Milano?

Noi vediamo solo uno spaccato parziale, ma comunque qualche indicazione l’abbiamo. Arrivano per chiedere una residenza fittizia persone che vivono a Milano e lavorano in città o nell’hinterland, ma non hanno gli strumenti e le competenze per districarsi nella burocrazia oppure non hanno la possibilità economica per avere accesso al mercato della casa. Pur avendo uno stipendio, la difficoltà di accedere al mercato privato dell’edilizia a Milano è trasversale ed è maggiore per un cittadino straniero, che magari ha famiglia e che magari è l’unico del nucleo a lavorare.

I figli di queste persone vanno a scuola a Milano e loro vorrebbero pagare quello che c’è da pagare in termini di tasse e al contempo avere accesso ai diritti previsti per chi ha l’iscrizione anagrafica, ma senza la residenza è come se non esistessero, né in termini di diritti né per i doveri.

In generale, vediamo tante persone che non hanno più una rete e, nel caso degli stranieri arrivati da poco, non sanno a chi rivolgersi e di conseguenza sono vittime di affitti in nero e della richiesta di soldi per qualunque cosa abbiano bisogno.

Sappiamo anche che più di 2.100 persone, tra le circa 10mila che hanno ottenuto una residenza fittizia, non sono più iscritte nei municipi (dato 2023, ndr). Non sarà il caso di tutte, ma sicuramente per molte di loro la residenza fittizia ha rappresentato una base di partenza per avviare un percorso di cittadinanza, perché, per esempio, grazie all’iscrizione anagrafica hanno potuto avere accesso alla graduatoria per l’ottenimento di una casa popolare.

Dopo 6 anni di sperimentazione di questo servizio, che cosa chiede la Casa, anche tramite la campagna “Sei la mia città”, al Comune di Milano?

Quello che stiamo chiedendo, e che il settore che si occupa di grave marginalità sta mettendo in atto, è che la residenza nei municipi renda possibile l’iscrizione anagrafica a quelle persone che effettivamente non hanno un tetto sopra la testa e che vivono in un grave stato di marginalità sociale ed economica. Cioè persone che non hanno la residenza, perché non hanno un posto dove poterla stabilire e per questo non accedono a quei diritti fondamentali e basilari che consentono di essere cittadini a pieno titolo.

Questo è diverso da non poter stabile la residenza laddove si vive. Per questo motivo, chiediamo anche che tutte le altre persone, anche se vivono in situazioni non formali o non possono dimostrare il titolo di occupazione di un immobile, devono poter esercitare il diritto soggettivo di residenza e quindi avere l’iscrizione anagrafica.

Per raggiungere questo obiettivo è importante che cambi la normativa nazionale e si torni alla funzione originaria dell’anagrafe che è quella di avere una fotografia del territorio e di chi ci abita. Non farlo, fa perdere la conoscenza del territorio e di chi lo abita e questo, visto che tanti parlano di sicurezza, garantisce sicurezza.

Ma soprattutto, la situazione attuale favorisce lo sfruttamento di persone deboli alle quali, come dicevamo, sono spesso richiesti soldi, ci hanno raccontato fino anche a 2.000 euro, da parte di alcuni proprietari di casa per poter fissare la residenza là dove abitano.


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