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Immigrazione: focus sulla protezione speciale

Insieme a Laura De Carlo, consulente dello Sportello di tutela e consulenza legale della Casa, approfondiamo i contenuti del cosiddetto “Decreto Cutro” sull’immigrazione e in particolare la riforma della Protezione Speciale.

A partire dalla strage di Steccato di Cutro dello scorso 26 febbraio – quando hanno perso la vita almeno 94 persone, tra cui 35 minori, che cercavano di raggiungere le coste italiane – in Italia si è tornato a parlare di immigrazione.

In risposta a questa tragedia, il governo Meloni ha infatti varato un nuovo decreto in materia, soprannominato appunto “Decreto Cutro”, approvato dal Senato lo scorso 20 aprile e ora all’esame della Camera per la definitiva conversione in legge.

Tra i contenuti del decreto ce n’è uno in particolare che preoccupa chi, come la Casa della Carità, si occupa dell’accoglienza e dell’inclusione delle persone straniere in Italia e cioè la limitazione della “protezione speciale”, con l’obiettivo ultimo, come dichiarato dalla stessa Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, di eliminare questo istituto.

Ne abbiamo parlato con Laura De Carlo, consulente dello Sportello di tutela e consulenza legale della Fondazione.

PROTEZIONE SPECIALE: CHE COS’È

«Facciamo un passo indietro: fino al 2018 esisteva la cosiddetta “protezione umanitaria”, una forma di tutela che poteva essere rilasciata allo straniero che non avesse avuto i requisiti per accedere allo status di rifugiato o alla “protezione sussidiaria”, ma non poteva essere allontanato dall’Italia per oggettive e gravi situazioni personali».

«La protezione umanitaria veniva rilasciata dalle Questure a seguito della raccomandazione di una Commissione Territoriale (l’organo che esamina le domande di asilo, ndr) quando, in caso di diniego rispetto agli altri tipi di protezione, si verificassero “seri motivi” di carattere umanitario: motivi di salute o di età, carestie e disastri ambientali o naturali, l’assenza di legami familiari nel Paese d’origine, l’essere vittima di situazioni di grave instabilità politica, di episodi di violenza o di insufficiente rispetto dei diritti umani», esordisce Laura De Carlo.

E continua: «Nel 2018 questo permesso è stato eliminato dai Decreti Sicurezza (o Decreti Salvini, ndr) e al suo posto è stata introdotta la cosiddetta “protezione speciale”, che restringeva questo tipo di tutela ai soli casi in cui era impossibile l’allontanamento della persona per il rischio di subire persecuzioni o torture. Aveva durata di 1 anno e non poteva essere convertita in permesso di lavoro».

DA SALVINI A LAMORGESE

Nel 2020, con il cambio al Ministero dell’Interno tra Matteo Salvini e Luciana Lamorgese, la protezione speciale viene riformata ed estesa: «Oltre a essere prevista per chi nel proprio Paese rischierebbe persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti, la protezione speciale veniva applicata in tutti quei casi in cui l’allontanamento dal territorio italiano avrebbe comportato una violazione del diritto alla vita privata e familiare dello straniero», spiega De Carlo.

Veniva inoltre tutelata la vita che la persona si era costruita nel corso della sua permanenza in Italia: «In sostanza – dice la consulente – se una persona dimostrava di essere ben integrata, perché aveva trovato un lavoro o aveva costruito dei legami affettivi, la Commissione valutava che non aveva senso rimandarla al Paese di origine, dove non avrebbe avuto queste possibilità».

Con il Decreto Lamorgese, poi, il permesso di soggiorno per protezione speciale aveva una durata di 2 anni e, in presenza di un contratto, poteva essere convertito in permesso per lavoro.

IL RITORNO AI DECRETI SICUREZZA

Con il Decreto Cutro si torna nuovamente al passato: «Se alla Camera non ci saranno modifiche, con la conversione in legge del Decreto Cutro verranno meno le estensioni previste dal DL Lamorgese sul diritto al rispetto della vita privata e familiare dello straniero. Si torna sostanzialmente ai Decreti Salvini», dice Laura De Carlo.

Che prosegue: «Con il Decreto Lamorgese le Commissioni avevano la possibilità di valorizzare il processo di inclusione sociale. Oggi, invece, tutti coloro che potrebbero dimostrare di essere integrati, perché magari hanno un lavoro o si sono costruiti una famiglia, di certo non spariranno da un giorno all’altro o non andranno via; si ritroveranno invece in condizioni di irregolarità e marginalità».

E conclude: «La nostra esperienza ci dice che queste limitazioni non arrestano l’immigrazione, perché i motivi per cui le persone vanno via dai loro Paesi sono molto più forti di queste restrizioni».

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