Insieme a Cecilia Trotto scopriamo i progetti della Biblioteca del Confine dedicati ai giovani, che gettano semi di cittadinanza.
La Casa della Carità non è solo accoglienza, ma è anche cultura e il cuore pulsante delle attività culturali della Fondazione è la Biblioteca del Confine, una vera e propria biblioteca, aperta a tutte e a tutti che, oltre all’attività di prestito e consultazione, promuove da sempre progetti dedicati a bambine e bambini, ragazze e ragazze delle scuole milanesi, dai nidi alle superiori.
Abbiamo intervistato Cecilia Trotto, responsabile della Biblioteca del Confine, che ci racconta alcuni di questi progetti, il loro senso all’interno della mission della Casa e i loro obiettivi.
Da diversi anni la Casa della Carità offre ad alcune scuole superiori milanesi diversi percorsi formativi che mettono a contatto studentesse e studenti con le tematiche che la Casa affronta ogni giorno con il suo lavoro sociale. Perché la Casa fa questa proposta, destinata in particolare ai giovani?
Da anni la Casa porta avanti progetti culturali dedicati ai giovani, perché riteniamo che lavorare con le cittadine e i cittadini di domani e con chi si occupa della loro educazione sia fondamentale per gettare le basi di buone politiche di cittadinanza e di responsabilità verso la comunità.
L’obiettivo è anche quello di liberare ragazze e ragazzi da quei pregiudizi che la società in generale veicola e provare a far sì che anche loro possano mettere in discussione le proprie convinzioni tramite la conoscenza diretta. Per esempio, lavorare con le persone detenute – come viene fatto in alcuni di questi progetti – significa provare a epurare tutto quello che riguarda la pena e il reato e pensare alla persona detenuta come ad una persona che, se messa nelle giuste condizioni, può sfruttare la sua detenzione lavorando su stessa e nella relazione con l’altro e sfruttare questi progetti come occasioni di rieducazione.
Allo studente arriva così il messaggio che questi progetti, persino in un luogo deprivato come San Vittore, sono in grado di far venire fuori la persona che vive dietro al reato e che nella realtà dell’incontro e della relazione diretta e fattiva, emerge una complessità che va oltre il giudizio, che a noi peraltro non compete: una storia, una cultura, una varietà linguistica e una ricchezza culturale incredibili.
Spesso poi la persona detenuta – per la sua adultità e per il rispetto reciproco che il lavoro culturale crea tra individui – si pone nei confronti dei giovani studenti con una cura e un’attenzione che sono un valore aggiunto notevole per chi un domani potrebbe doversi interfacciare con questo contesto e con le persone che lo abitano per motivi di lavoro. Il fatto che riescano a trasmettere a dei giovani l’importanza di rimanere all’interno delle regole, penso sia un importante insegnamento culturale, sociale e civico. Questi progetti non fanno altro che allinearsi alla nostra Costituzione e quindi al fatto che l’obiettivo della pena sia rieducativo e volto al reinserimento sociale e che quindi servano, per i detenuti, progetti e attività culturali e sociali come queste e, per gli studenti, attività che permettano di vedere oltre il pregiudizio e di conoscere con i propri occhi le persone e il contesto.
Puoi raccontarci in breve questi percorsi?
I principali percorsi di formazione rivolti a studentesse e studenti degli istituti superiori sono tre. Il primo è la Società di Lettura, che tra l’altro ha recentemente compiuto 20 anni, ed è sostenuto quest’anno dalla fondazione Bussone-Pisarra. Questo progetto porta avanti un lavoro strettamente legato ai libri, e coinvolge studentesse e studenti del Liceo Scientifico “Alessandro Volta” e studenti detenuti, che già frequentano la scuola d’italiano del terzo reparto della Casa Circondariale di San Vittore, gestita dal CPA 5. Le persone detenute provengono da diversi reparti e, anche se non sempre, hanno un’età vicina a quella degli studenti.
C’è poi il progetto “Pagine di libertà” in collaborazione con il Liceo Scientifico “Luigi Cremona”, che quest’anno ha raggiunto la terza annualità ed è finanziato anch’esso dalla fondazione Bussone Pisarra e coinvolge sempre persone detenute a San Vittore. Rispetto alla Società di Lettura questo progetto ha una prima parte di formazione molto ampia, legata al teatro, alla conoscenza dei principali strumenti per la lettura ad alta voce e per la sua promozione in contesti multilinguistici, multiculturali e anche con un basso livello di istruzione, come appunto il carcere. Nella seconda parte, studenti e detenuti lavorano insieme, per esempio, intorno ai libri più amati, ad attività teatrali, alla visione di film e alla musica, ai giochi di ruolo che scaturiscono dai diversi interessi.
Il terzo progetto si chiama invece “Diversità e diritti, una risorsa comune” ed è realizzato con il sostegno della Fondazione di Comunità Milano Città, Sud Ovest, Sud Est, Martesana onlus.
Questo progetto ha una parte teorica, che quest’anno ha visto la partecipazione di circa 350 studenti di scuole secondarie di secondo grado, tra istituti professionali e licei, legata ad alcune delle tematiche di cui si occupa la Casa. Durante quattro incontri, che si sono svolti all’Anteo Palazzo del Cinema di Milano, ragazze e ragazzi hanno potuto approfondire tematiche come immigrazione, salute mentale, identità di genere e ambiente, attraverso la visione di alcuni cortometraggi che hanno partecipato al SOUQ Film Festival (concorso cinematografico internazionale promosso dalla Casa della Carità, ndr) e grazie all’incontro e allo scambio con esperti.
Per quanto riguarda la parte pratica, si sono svolti 3 laboratori che hanno coinvolto il Liceo Cremona, l’ITSOS “Albert Steiner” e il Liceo “Virgilio”. Nel primo laboratorio si è realizzato un podcast: 4 puntate relative alle 4 tematiche della parte teorica. Insieme all’autore e podcaster Jacopo Cirillo, il laboratorio ha messo i ragazzi nella condizione di capire come funzionano i podcast, di esercitarsi sulla sceneggiatura, sulle storie o le interviste da inserire. Il percorso è arrivato fino alla registrazione e i ragazzi hanno prodotto anche le musiche. Il laboratorio teatrale, co-condotto dagli operatori della Casa Alberto Pluda e Serena Pagani, era legato al tema della “maschera” e ha quindi comportato un lavoro molto intenso sull’individualità e sulla relazione di ciascuno studente rispetto al gruppo classe. Nel terzo laboratorio, grazie alla guida del videomaker Andrea Nasi, studentesse e studenti hanno realizzato 4 documentari brevi, legati a tematiche sociali e ad alcune esperienze dirette di azioni e attività della Casa, che saranno presentati nell’edizione 2025 del SOUQ Film Festival.
Come hai raccontato, nel progetto “diversità e diritti” ragazze e ragazzi hanno avuto la possibilità di mettersi in gioco attraverso dei laboratori pratici, che utilizzano linguaggi artistici quali il cinema, il podcast, il teatro. Qual è il valore aggiunto di questa proposta?
Il valore aggiunto di questa proposta è stato proprio quello di portare i ragazzi a produrre qualcosa di concreto, quindi di avere la possibilità di toccare con mano l’esito del loro percorso.
Questo progetto, infatti, si è svolto nell’ambito dei PCTO – Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento, che sono un’esperienza formativa obbligatoria per gli studenti delle scuole superiori. Casa della Carità ha scelto di aderire a questi percorsi, nell’ottica di offrire un’esperienza formativa completa, dando la possibilità a ragazze e ragazzi di conoscere e confrontarsi con diverse figure professionali, formatori, operatori della Casa, che li hanno guidati nell’acquisizione di conoscenze teoriche e competenze pratiche. Credo che questa sia stata un’esperienza arricchente e che li ha molto gratificati, poiché i protagonisti sono stati proprio loro.
Tu segui questi progetti da sempre e hai quindi visto evolversi sia il mondo della scuola che il carcere. Perché ritieni sia importante che la Casa insista nel portare avanti progetti che coinvolgono questi due mondi?
Credo che proseguire questi progetti sia fondamentale, perché i ragazzi hanno bisogno di confrontarsi anche con persone esterne alla scuola e al corpo docente, chiaramente qualificate e con progettazioni strutturate, ma al di fuori della valutazione e di logiche di voti. È un tipo di relazione che fa loro molto bene, perché gli dà la possibilità di uscire dal contesto scolastico e, molto spesso, di scardinare alcune dinamiche che li riguardano direttamente, come singole persone o come gruppo classe. Questo chiaramente a noi operatrici della Casa impone un intervento che va al di là della parte formativa legata al progetto, ma che prevede anche una cura e un’attenzione particolare nella relazione con i ragazzi e una restituzione della fiducia che loro stessi e la scuola ripongono in noi. Un dialogo costante tra noi e gli studenti, ma anche tra noi e gli insegnanti e che segua il più possibile anche la loro evoluzione nel corso dell’anno scolastico e dei mesi di progetto.
Per quanto riguarda il carcere, questo lavoro è fondamentale perché, soprattutto negli ultimi anni, San Vittore sta vivendo una situazione estremamente complessa da un punto di vista di sovraffollamento, di caratteristiche della popolazione penitenziaria, dell’alta percentuale di persone straniere, delle problematiche linguistiche che mettono in difficoltà sia l’istituzione che le persone detenute, oltre che nel livello di sofferenza psichica.
Non abbandonare questo luogo, che è uno spazio interno alla nostra città, fa parte del mandato di Casa della Carità, ovvero non abbandonare gli ultimi degli ultimi, non chiudere una chiave, non mettere queste persone nella condizione di non avere più relazioni con l’esterno, che in questi progetti sono forse alla base di tutto il lavoro e che vanno da quelle con noi operatori, con gli insegnanti delle scuole che coinvolgiamo e, la più importante, con gli studenti.
E sono rapporti che, nonostante quest’anno siamo stati costretti a lavorare da remoto, hanno davvero tante potenzialità e una concatenazione di conseguenze positive spesso non calcolabili, oltre che una varietà culturale che ogni anno cambia e varia in base alle persone coinvolte. La persona detenuta è portata ad avere un’attesa settimanale che la mette nella condizione di avere un obiettivo, che possano essere i compiti, ma anche banalmente alzarsi dal letto, fare la domandina per richiedere di partecipare al corso, vestirsi bene, farsi una doccia, parlare, mettersi nella condizione di ascoltare, provare ad uscire dai propri problemi e dalla propria storia e staccarsi da quello spazio per quelle 2, 3, 4 ore di tempo che vengono messe a disposizione. In più ci sono le attività, come il teatro e l’arte, che hanno anche un valore terapeutico, benché non seguano un percorso sul lungo periodo, e che per questo stiamo cercando di inserire sempre più all’interno dei nostri progetti in collaborazione con i colleghi di MigrArte.