Ex ospite, Tano ha mantenuto con la Casa, e in particolare con l’operatore Peppe Monetti, un forte legame di amicizia
«Quando Tano è arrivato alla Casa della Carità, la prima cosa che abbiamo notato è stata la sua imponenza: era alto quasi 2 metri e incuteva una certa soggezione. Tanto che, nel tempo, lo abbiamo soprannominato in tono scherzoso “il Presidente”, anche per la sua autorevolezza».
A raccontare questa storia è Peppe Monetti, responsabile dello Sportello di tutela legale della Fondazione, che con Tano aveva un forte legame di amicizia, rimasto tale anche quando quest’ultimo ha lasciato la Casa.
Dal Camerun alla Casa della Carità
Tano era un uomo distinto e nel suo Paese, il Camerun, lavorava in banca. Tuttavia, era perseguitato per motivi politici. Per questo era dovuto fuggire, lasciandosi alle spalle la sua casa, sua moglie e i loro cinque figli.
Alla Casa era arrivato per chiedere aiuto a trovare un lavoro, un posto dove dormire e per fare domanda di asilo politico, venendo poi accolto al primo piano di via Brambilla.
«Trovare un lavoro non è stato facile, perché non aveva esperienza di lavori manuali, che sono quelli che solitamente vengono proposti agli stranieri. Ma poi abbiamo capito che, grazie al fatto che conosceva diverse lingue, Tano poteva ambire ad altro. E così ha trovato un buon impiego alla reception di un’azienda di import-export», spiega Peppe.
Grazie a questo lavoro e prestando attenzione alle spese, Tano è riuscito a mettere dei soldi da parte e in poco tempo si è trasferito in una casetta presa in affitto.
L’abbraccio con la famiglia
Avendo ottenuto lo status di rifugiato, Tano ha intrapreso il percorso per il ricongiungimento familiare e così, grazie all’aiuto di Peppe, l’uomo ha potuto riabbracciare la sua famiglia. Ed è stato un sollievo, perché anche loro avevano iniziato a subire pressioni in Camerun, tanto da dover cambiare città.
«Vivevano in sette in questa casa piccolissima, ma a modo loro erano riusciti a stabilizzarsi e durante le feste venivano sempre a trovarci», racconta ancora Monetti.
Dopo qualche tempo, però, l’operatore riceve una telefonatadall’ospedale San Raffaele: Tano era ricoverato lì per un tumore e aveva chiesto a un medico di avvisare Peppe.
Una bella storia di amicizia
Inizialmente Tano aveva reagito bene alle cure e si era rimesso, tanto da decidere di raggiungere due dei suoi figli che nel frattempo si erano trasferiti in Francia, dove anche lui aveva trovato lavoro per un’organizzazione che si occupava di rifugiati.
«Sono venuti a salutarmi prima di partire ed erano felicissimi», ricorda l’operatore.
Ma un giorno Peppe riceve una lettera. Era la moglie di Tano: lo avvisava che purtroppo la malattia del marito era ritornata e lui non ce l’aveva fatta.
«Nonostante non ci sia il lieto fine, questa è una storia che ricordo con affetto, perché è una bella storia di amicizia. La moglie di Tano, infatti, che io avevo visto pochissime volte, ci ha tenuto a scriverci per avvisarci della sua scomparsa perché, ha detto, “voi in Italia eravate la sua famiglia“», conclude Peppe.
[Nell’immagine di apertura, Peppe Monetti con un ex ospite della Casa. Foto: Marco Garofalo]