Storie

La storia di Natale, dentro e fuori dal carcere

Come si vive dentro un carcere? Che cosa si trova una volta fuori? L’esperienza di Natale dentro e fuori Bollate, passando per la Casa della Carità

“Nella mia cricca a Bollate eravamo una decina. Amici, quasi fratelli. Ci siamo rivisti fuori e non abbiamo mai parlato di carcere, ma ci siamo detti che abbiamo ripreso in mano la nostra vita. E che anche se non hai lavoro e non guadagni chissà che, però sei a casa con la tua famiglia”.

A raccontare questo episodio è Natale Zaccaria, che ha condiviso con noi la sua esperienza dentro e fuori il carcere. Lo abbiamo incontrato, virtualmente, in occasione del secondo appuntamento del percorso formativo “Fratelli (quasi) tutti”, promosso dal Centro Studi SOUQ della Fondazione e dedicato proprio al tema del carcere.

Natale, come descriveresti il carcere a una persona che non l’ha mai visto?

Per me il carcere è un mondo dove spesso uno entra ladro ed esce spacciatore. In molte carceri, infatti, non ci sono attività, non ci sono gruppi di supporto, stai sempre chiuso. E anche quando ci sono, spesso ti fanno guardare al passato. Si parla sempre del tuo reato e mai di futuro, di lavoro, di casa.
Se uno è “debole di carattere”, rischia di conoscere personaggi che possono influenzarlo negativamente. Molte persone non hanno voglia di ricostruirsi una vita nuova e anzi si vantano di quello che hanno fatto.
Quindi quando sei in carcere devi essere fortunato, devi evitare cattive compagnie e devi anche darti da fare e cogliere le opportunità che gli educatori ti propongono. Io, per esempio, quello che poi ho ottenuto me lo sono conquistato. Ho cercato di non entrare in situazioni problematiche. Mi sono guardato allo specchio e ho fatto una riflessione. Ho detto basta, non voglio più saperne. E ho pagato il mio debito.


La Casa della Carità collabora, fin dai primi mesi della sua attività, con le carceri milanesi di Bollate e San Vittore, attivando percorsi per autori di reato, iniziative culturali che mettono in dialogo il “dentro” con il “fuori” e accogliendo uomini e donne che hanno finito di scontare la loro pena. Come spiega il nostro operatore Fiorenzo De Molli nell’intervista da leggere qui.

Sul carcere e sulle persone detenute ci sono molti pregiudizi…

È vero. Molti non te lo dicono, ma te lo fanno capire, che non gli vai a genio perché sei un ex detenuto. E poi ancora adesso, che sono uscito da più di 5 anni, incontro difficoltà a livello lavorativo, perché i datori di lavoro vogliono il certificato penale. E quando scoprono che sono un ex detenuto, mi dicono di non presentarmi nemmeno.

Cosa pensi sia utile ai detenuti per quando usciranno dal carcere?

Per me dentro il carcere dovrebbe esserci un corso di formazione professionale, pensato in base alla persona, perché la maggior parte dei detenuti non sono lavoratori. E anche un corso di educazione civica, per educare ai valori della vita. E poi serve più supporto quando si esce dal carcere, perché quello è il momento più difficile e si rischia di tornare indietro. Ci sono tante persone che quando escono non sanno dove andare e sono allo sbaraglio, perché non c’è un aiuto. Ci vorrebbero più associazioni che iniziano a lavorare con i detenuti dentro il carcere e poi li seguono quando sono fuori. 

Natale Zaccaria
Natale, in portineria alla Casa della Carità

Come pensi che si viva in carcere adesso che c’è la pandemia?

Mi spiace per quelli chiusi in questo periodo. Non possono vedere la famiglia, fanno i colloqui in videoconferenza. Non hanno nemmeno il supporto morale dei volontari. Deve essere molto dura.

Quando e come hai conosciuto la Casa della Carità?

La Casa della Carità l’ho conosciuta nel 2013. Per primo ho conosciuto Fiorenzo, quando ho iniziato a fare volontariato come Articolo21. Stavo in portineria. Controllavo chi entrava e chi usciva, rispondevo al telefono, davo supporto agli educatori se avevano bisogno di qualcosa.
Mi piaceva stare lì, è un bell’ambiente. Le persone, sia gli ospiti che gli educatori, mi facevano sentire a mio agio. Non mi sono sentito giudicato, ma mi sono sentito come in una famiglia. E quando stai bene con te stesso sei felice, anche se sei senza soldi.
Ho fatto volontariato fino ad aprile 2015, quando sono uscito dal carcere e sono stato ospite della Casa della Carità per un periodo. Poi la Fondazione mi ha dato un appartamento di appoggio e adesso vivo in una casa popolare. Ci sono da poco, tanto che devo ancora finire di arredarla! Ringrazierò per tutta la vita Casa della Carità. Fiorenzo, Luisa e gli altri che mi hanno aiutato.

E adesso cosa fai?

Fino a ottobre lavoravo all’hub di Bresso della Croce Rossa, ma purtroppo a causa della pandemia hanno ridotto il personale e mi hanno lasciato a casa. Sto cercando un’altra occupazione. Mi adatto a qualsiasi lavoro, ma in questo momento è molto difficile. 

C’è un momento o un episodio che ricordi particolarmente della Casa della Carità?

Appena sono arrivato in portineria mi ha colpito il televisore. Erano anni che non vedevo un televisore così grande. Com’è cambiata la vita, mi sono detto. Anche i telefoni cellulari erano così grandi. Io ero abituato a quelli con solo i numeri. Il più bel ricordo è stato il pranzo di Natale. Vedere quella grande tavolata piena di gente e con tutto quel ben di Dio da mangiare… ero felice, perché era tanto che non vedevo quelle cose.

[Limmagine di apertura è tratta dal sito del Carcere di Bollate]


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