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Naufragio Calabria: non rassegnamoci

Il naufragio avvenuto lo scorso 26 febbraio di fronte alle coste della Calabra non può lasciarci indifferenti. La posizione della Casa.

All’indomani del terribile naufragio, avvenuto domenica 26 febbraio di fronte alle coste della Calabria, che è costato la vita ad almeno 63 persone, tra cui moltissimi bambini, la Casa della Carità si è stretta in preghiera, esprimendo il suo dolore e il suo cordoglio per le vittime di questa tragedia. L’ennesima tragedia del mare, di fronte alla quale rischiamo, purtroppo, di abituarci.

Come società, come donne e uomini “pensanti”, diceva il cardinale Carlo Maria Martini, e come Chiesa, non possiamo cedere all’abitudine e alla rassegnazione. E come operatrici e operatori, volontarie e volontari della Casa della Carità non vogliamo farlo; lo dobbiamo alle persone che ospitiamo e alle loro storie.

Il nostro richiamo è allora quello a interrogarsi, a fermarsi a guardare questa storia dal punto di vista delle vittime e a chiedersi perché queste persone lasciano il proprio Paese e mettono a rischio la propria vita pur di raggiungere l’Italia, l’Europa.

La cronaca ci dice che in quella barca viaggiavano cittadini afghani, siriani, pakistani e iraniani. Che cosa accade in quei paesi lo sappiamo bene: guerre, oppressioni, catastrofi climatiche.

E allora continuare a ripetere che è necessario fermare le partenze non è la soluzione. Lo diciamo da tempo e lo ribadiamo: le migrazioni sono un fenomeno epocale e non possono essere fermate. Occorre invece aprire corridoi umanitari e canali legali d’ingresso in Italia e in Europa, i soli che possono fermare queste stragi.

E davanti al dramma di Crotone è evidente come il decreto contro le ONG, appena trasformato in legge dal Parlamento, sia un’assoluta scelleratezza. Il lavoro di chi salva le vite nel Mediterraneo non va ostacolato e criminalizzato, ma va salvaguardato, per esempio attraverso l’attivazione di una missione europea di ricerca e soccorso in mare.


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