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Legami affettivi e distanze per le donne accolte in comunità

Che legami affettivi hanno le donne che vivono sole con i loro figli nelle comunità? Ne abbiamo parlato con Tiziana Scardilli, responsabile della Tillanzia.

Nonostante si parli tanto di tutela della famiglia, le attuali politiche sociali e abitative del nostro Paese non sono adeguate ai bisogni delle famiglie più fragili. Esse prevedono infatti la tutela del minore, a cui è garantita l’accoglienza, generalmente in comunità, con uno dei genitori, che solitamente è la mamma; il papà, il più delle volte, si deve arrangiare in dormitori o appoggiandosi ad amici e parenti, quando ci sono, e purtroppo capita anche che finisca per strada.

Questa situazione, che si protrae spesso per lunghi periodi, influisce significativamente sul benessere psicologico delle famiglie e anche sul percorso di autonomia delle donne che sono ospitate insieme ai figli in comunità di accoglienza come la Tillanzia, la struttura della Casa della Carità che ospita donne sole e mamme con bambini.

Tiziana Scardilli, responsabile della Tillanzia, ci racconta che cosa significa per queste donne la separazione da mariti e compagni, nonostante il desiderio e il bisogno di rimanere uniti.

«Tutte le donne ospiti della Tillanzia sperimentano una separazione dai loro affetti e in particolare da mariti e compagni. Alcune di loro sono abituate a non vivere insieme al marito o il compagno, perché magari lui è arrivato in Italia da solo e loro l’hanno raggiunto dopo qualche tempo e quindi la separazione è diventata quasi una normalità. Nonostante il peso della distanza, sanno che questa è la realtà e che i tempi per stare insieme sono molto lunghi», spiega Tiziana.

Altre donne, invece, desiderano davvero stare insieme ai mariti o ai compagni, ma non sanno come fare e questo problema riguarda molti nuclei familiari: «I servizi disponibili per nuclei interi sono pochi e le opportunità abitative per famiglie sono molto limitate. Chi ha la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, ha una chance, ma per tanti è molto difficile».

«Penso a una donna che vive con noi da circa tre anni. Inizialmente, il marito non era molto presente perché lavorava lontano, ma ora vive più vicino a Milano e riescono a vedersi più spesso. Abbiamo chiesto all’assistente sociale di aiutarci a trovare una casa per loro, perché il padre è molto importante per il nucleo familiare: si occupa dei bambini, li accompagna a scuola e li tiene con sé. Purtroppo però trovare un affitto è una sfida, ed è questo il grosso problema: le opportunità sono davvero limitate. Per far sì che la famiglia possa stare unita, servirebbero convenzioni o altre soluzioni, ma le possibilità sono scarsissime», spiega Tiziana.

Questa separazione incide profondamente sul benessere psicologico delle famiglie, ma anche sul percorso personale di queste donne che, per esempio, faticano a trovare un lavoro dovendosi occupare da sole dei figli: «Prendiamo come esempio una mamma con un bambino piccolo. Essere una madre sola con un neonato è già particolarmente difficile e lo è ancora di più se vivi in una struttura comunitaria. Sebbene noi siamo vicine alle mamme e possiamo tenere il bimbo per un po’, non possiamo sostituire la presenza di una famiglia che puoi avere sempre accanto; non è come avere un marito o un compagno accanto nei momenti di difficoltà. E questo senso di solitudine pesa molto», conclude Tiziana.


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