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STARE ACCANTO: UNA VOLONTARIA NEL CARCERE

Dentro il carcere con la giornalista e scrittrice Carla Chiappini, da 20 volontaria in diversi istituti di pena.

Abbiamo chiesto alla giornalista e scrittrice Carla Chiappini1, che da anni opera come volontaria all’interno di diverse strutture detentive, di farci entrare nel carcere con lo sguardo di una persona che lo conosce bene perché ci entra per dei progetti “riabilitativi”, ma è comunque è terza rispetto a detenuti e personale.

20 anni da volontaria in carcere, ma mi sorprendo ogni volta

Scrivere di carcere per la Casa della Carità è un impegno che mi emoziona più del previsto. Sono più di venti anni ormai che entro negli istituti di pena; prima solo a Piacenza, la mia città, e poi a Milano, Verona, Modena, Catanzaro, Palermo, Cosenza, Rossano, Paola e ora stabilmente nell’Alta Sicurezza di Parma. Promuovo e raccolgo scritture, frammenti di vite e di storie e ogni volta mi sorprendo nello scoprire sensibilità e pensieri inattesi.

Ricordo la mano di mio padre ruvida e forte che in ogni momento mi stringeva e mi faceva sentire sicuro a ogni passo.
Se c’erano le pozzanghere, lui mi alzava come una giostra ed era un gioco tra me e lui …
Oggi quelle mani forti con le unghie segnate di nero dalle martellate nei cantieri navali sono il
segno di tanti sacrifici e vorrei baciarle e stringerle forte

Erdet*2

E tanti dolori.

Papà Io vorrei non averti perso così presto (ero solo un ragazzino) di sicuro la mia vita sarebbe stata più stabile … forse. 
E come su una barca se cade il capitano la ciurma va alla deriva e Dio solo sa come sono andato alla deriva dopo la tua morte.
E solo ora dopo 40 anni mi sono accorto di quanto mi sia mancata la tua guida e ora mi chiedo come abbia fatto in tutti questi anni a non fare mai i conti con la tua morte.
Il giorno dopo la tua morte ero già a correre con la moto da cross.
Gli altri mi hanno considerato un cinico ma era solo disperazione che ho sempre mascherata col cinismo

Luca*

È vero, sono più di vent’anni che attraverso l’Italia raccogliendo parole, ricordi, esperienze di vita nelle carceri del nostro Paese ma, se dovessi fare una sintesi, tirare una riga per dire che cosa è il carcere e chi sono le persone che lo abitano, sarei in grande difficoltà.

Sicuramente è un raccoglitore di fallimenti, di cadute, di fragilità. Ora più che mai, abitato da persone giovanissime, arrabbiate, confuse. Stipate l’una sull’altra in spazi angusti e molto spesso inadeguati. È un collettore di disagio e sofferenza che ci riguarda perché parla di noi, del mondo che stiamo vivendo. Parla di immigrazione, di povertà, di speranze deluse. Di violenza e di prepotenza.

Racconta le cadute e i limiti del nostro vivere insieme e la fatica di stare accanto con equilibrio e generosità. Senza paura e senza deliri di onnipotenza. Con senso di responsabilità e competenze affidabili. Nessuno di noi che entriamo dall’esterno, nemmeno il migliore o la migliore di noi, ha il potere di cambiare il cuore e i desideri delle persone; possiamo, però, stare accanto, aprire spazi di riflessione, proporre nuovi percorsi di vita, facilitare la ricerca di un lavoro, organizzare momenti di confronto. Introdurre cultura e, quindi, pensiero.

Un carcere che rispetti la Costituzione. Come fare?

Resistendo alla tentazione della nostra personale affermazione, lavorando senza sosta su noi stesse/i, confrontandoci coi nostri limiti e le nostre vanità. Da tanto tempo ormai penso che, se in qualche modo, è possibile immaginare un carcere costituzionalmente orientato, un carcere che rieduca, questo può solo essere un carcere che respinge l’infantilizzazione delle persone recluse (si pensi banalmente al linguaggio del carcere, con un abuso di parole col suffisso “-ino”, come “spesino” o “scopino”, per indicare dei lavori svolti all’interno dell’istituto, o la “domandina”, ossia la richiesta che i detenuti devono presentare per quasi ogni cosa vogliano richiedere), un carcere in cui operano soggetti adulti che usano la chiarezza come requisito di ogni rapporto, di ogni comunicazione. “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no…”

Un carcere che sappia rispondere in modo solerte e chiaro alle richieste delle persone detenute. Un carcere, certo, ma ancor più e meglio un intero sistema: dal giudice al magistrato, dall’avvocato al direttore, dall’educatore al personale di sorveglianza. E a tutti noi che entriamo con eccellenti propositi dall’esterno: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no…”

Carla Chiappini


  1. Carla Chiappini è giornalista, formata alla metodologia autobiografica presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, anima laboratori di scrittura autobiografica in numerosi Istituti di pena italiani e in gruppi di messi alla prova. Dal 2015 coordina la redazione di Ristretti Orizzonti con un gruppo di ergastolani nell’Alta Sicurezza del carcere di Parma. Nel 2014 ha fondato l’associazione Verso Itaca APS che, già nello statuto, ha scelto di promuovere la cultura della riparazione e della mediazione di modello umanistico, appreso da Jacqueline Morineau. ↩︎
  2. Erdet e Luca sono due persone recluse nel carcere di Piacenza che hanno di recente partecipato a un laboratorio di scrittura autobiografica sulla paternità. ↩︎

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