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Chi sono i migranti climatici: quando il clima costringe a partire

Scopri cosa sono le migrazioni climatiche, le conseguenze del cambiamento climatico e come possiamo tutelare i diritti di chi è costretto a partire.

Sempre più persone sono costrette a lasciare la propria terra, perché resa invivibile dagli effetti negativi della crisi climatica: siccità, inondazioni, incendi, fenomeni atmosferici estremi, innalzamento del livello del mare. Sono i cosiddetti “migranti climatici” che, stima la Banca Mondiale, entro il 2050 potrebbero essere 216 milioni nel mondo.

In questo articolo cerchiamo di capire chi sono i migranti climatici e quale risposta possono offrire i governi per affrontare questo fenomeno.

Chi sono i migranti climatici?

Come spiega l’UNHCR, l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, da un punto di vista formale, non è possibile parlare di “rifugiati climatici”, poiché questa definizione non è presente e non è riconosciuta in nessuna norma del diritto internazionale di tutela delle persone rifugiate, come la Convenzione di Ginevra del 1951, che individua come rifugiato quella persona che ha attraversato una frontiera e non possa fare ritorno nel proprio Paese di origine «a causa del fondato timore di essere perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per un’opinione politica».

Per questo motivo, è improprio parlare di “rifugiati climatici” e si parla quindi di “migranti climatici”. L’OIM – Organizzazione Internazionale per le Migrazioni parla di “migranti e sfollati ambientali” dal 2007. Nel dicembre 2018 anche il Global Compact for Safe, Orderly and regular Migration approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto che “clima, degrado ambientale e catastrofi naturali interagiscono sempre più coi fattori alla radice dei movimenti di rifugiati” e quindi che le persone in fuga a causa della crisi climatica, pur non essendo rifugiati in senso stretto, hanno diritto a protezione, assistenza e supporto.

L’OIM stima che circa l’80% degli spostamenti legati al clima avviene all’interno dello stesso Paese, spesso dalle aree rurali a quelle urbane.

I paesi e le comunità più colpite

L’IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change stima che tra i 3,3 e i 3,6 miliardi di persone (il 40% della popolazione mondiale) viva in aree di “estrema vulnerabilità ai cambiamenti climatici”. La maggior parte di queste sono concentrate nei Paesi del Sud Globale, in particolare il Corno d’Africa (Eritrea, Etiopia, Somalia e Kenya), il Sahel (Niger, Chad, Burkina Faso), il Bangladesh e le Filippine, le isole del Pacifico, ma anche l’area del Mediterraneo.

Tra disastri che recentemente hanno provocato milioni di sfollati – generalmente all’interno degli stessi paesi – ci sono per esempio:

  • La siccità che nel 2022 ha colpito il Corno d’Africa (Etiopia, Kenya e Somalia)
  • Le inondazioni in Pakistan, nel 2022

Tra le aree più colpite dalle conseguenze della crisi climatica, dicevamo, ci sono molte isole del Pacifico, che rischiano di scomparire a causa dell’innalzamento del livello del mare. Come l’arcipelago di Tuvalu, che rischia di essere sommerso entro il 2050. Per far fronte a questa minaccia esistenziale, questo piccolo stato ha firmato con l’Australia un accordo senza precedenti per dei “visti climatici”, che darebbero diritto agli 11mila abitanti di Tuvalu di vivere, lavorare e stabilirsi gradualmente in Australia. I primi visti dovrebbero essere rilasciati proprio nel 2025.

Quali sono le cause delle migrazioni climatiche


Il cambiamento climatico non è quasi mai l’unica causa che spinge le persone a lasciare la propria terra, ma rappresenta sempre più spesso una concausa che aggrava situazioni già fragili, come:

  • conflitti armati
  • povertà strutturale
  • instabilità politica 
  • discriminazioni

In questo senso, la migrazione può diventare una vera e propria strategia di adattamento per sopravvivere a condizioni ambientali e sociali sempre più difficili.

Eventi come siccità prolungate, inondazioni improvvise, incendi, uragani e l’innalzamento del livello del mare minacciano la vita quotidiana e i mezzi di sussistenza di milioni di persone in tutto il mondo. Tra i principali rischi legati al cambiamento climatico si registrano:

  • la perdita dell’accesso all’acqua potabile
  • l’impossibilità di coltivare la terra
  • la diminuzione delle risorse ittiche
  • la perdita improvvisa dei raccolti
  • la distruzione di abitazioni, scuole, ospedali e infrastrutture essenziali
  • la perdita del lavoro e dei beni personali
  • in casi estremi, anche la perdita di vite umane

Queste condizioni spingono molte persone a lasciare le proprie case nel tentativo di sopravvivere o ricostruirsi una vita altrove. In particolare, le comunità rurali che basano la propria economia su agricoltura e pesca sono tra le più colpite. La perdita di queste attività tradizionali comporta un grave impoverimento economico e sociale, che si riflette anche sulla coesione e sul benessere delle comunità locali.

Inoltre, un altro aspetto spesso sottovalutato della migrazione climatica è quello culturale. Molti migranti climatici si trovano costretti ad abbandonare le loro terre ancestrali, le tradizioni e i legami culturali che hanno costruito nel tempo, con conseguente:

  • perdita dell’identità culturale
  • indebolimento del senso di appartenenza
  • frattura nei legami sociali e intergenerazionali

Se la crisi climatica colpisce tutti, non tutte le persone sono però colpite allo stesso modo. Le fasce più vulnerabili della popolazione — come le donne, le persone che vivono in condizioni di povertà, in aree remote, o che già subiscono discriminazione ed esclusione sociale — sono infatti quelle maggiormente danneggiate da questi eventi e, allo stesso tempo, con meno risorse per affrontarli.

Inoltre, la crisi climatica può esacerbare tensioni politiche e sociali già presenti, aumentando il rischio di conflitti per il controllo di risorse naturali diventate scarse o strategiche, come acqua, terra coltivabile o energia. A loro volta, i conflitti armati possono avere impatti ambientali devastanti, ad esempio attraverso la contaminazione del suolo con mine e ordigni, o la distruzione di ecosistemi.

In questo intreccio complesso tra crisi ambientale e instabilità socio-politica, il cambiamento climatico emerge come un fattore moltiplicatore di vulnerabilità.

Cambiamenti climatici e migrazioni forzate: cosa succede a chi è costretto a partire

Nonostante i tentativi di adattamento alle trasformazioni dell’ambiente, in molti casi gli effetti del cambiamento climatico e delle catastrofi naturali obbligano le popolazioni a fuggire dai propri territori per poter continuare a vivere. Le persone sono quindi costrette ad abbandonare le proprie case, temporaneamente o in modo permanente, sia all’interno del proprio Paese sia attraversando i confini nazionali.

Anche coloro che sono già stati costretti a fuggire per altre ragioni si trovano spesso in aree particolarmente esposte agli impatti del cambiamento climatico. Questo può costringerli a nuovi spostamenti, detti “movimenti secondari”.

Infine, il peggioramento delle condizioni ambientali può impedire loro di fare ritorno in sicurezza nei luoghi d’origine, prolungando o complicando ulteriormente la loro condizione di vulnerabilità.

Le sfide per la giusta tutela dei migranti climatici

Il fenomeno dei migranti climatici rappresenta una delle sfide più urgenti e complesse del nostro tempo per tutta la comunità internazionale.

Per gestire in modo efficace e umano questo fenomeno globale, è fondamentale adottare un approccio integrato, olistico, che unisca tutela ambientale, cooperazione internazionale e protezione dei diritti umani:

  • Mitigazione del cambiamento climatico, con un’azione immediata per la riduzione delle emissioni di gas serra
  • Favorire la transizione energetica, investendo in energie pulite e rinnovabili
  • Potenziare le capacità di adattamento climatico delle comunità locali, così che possano imparare a reagire agli eventi estremi prodotti crisi climatica, per esempio attraverso infrastrutture resilienti, gestione sostenibile delle risorse e pianificazione territoriale.
  • Sviluppo sostenibile nelle regioni vulnerabili
  • Educazione e sensibilizzazione per formare le comunità locali sull’adattamento climatico
  • Promuovere la consapevolezza globale sull’interconnessione tra clima e migrazioni.
  • Protezione dei diritti umani fondamentali dei migranti climatici, promuovendo politiche di accoglienza e inclusione. Attualmente, infatti, non esiste una normativa internazionale chiara che riconosca lo status giuridico dei migranti climatici. Nell’Unione Europea, le direttive attuali (Direttiva sulla protezione temporanea e la Direttiva sulle qualifiche) offrono solo protezioni parziali e non pensate per le migrazioni di massa legate al clima.
  • Cooperazione internazionale

Come possiamo agire: impegno individuale e collettivo

Ognuno di noi può impegnarsi, a livello individuale e collettivo, per contrastare la crisi climatica e sostenere i migranti climatici. 

Si può partire dal proprio stile di vita, per esempio riducendo il consumo di acqua e di energia elettrica, utilizzando mezzi di trasporto non inquinanti, facendo acquisti consapevoli. È anche importante informarsi sulle cause e sulle conseguenze della crisi climatica e come si può agire.

Si possono poi sostenere campagne e iniziative di advocacy che spingono i governi ad agire per affrontare la crisi climatica e a promuovere politiche di riconoscimento e accoglienza dei migranti climatici, e la tutela dei loro diritti fondamentali.

L’accoglienza come risposta: l’impegno della Casa della Carità

Fin dalla sua apertura, la Casa della Carità ha accolto persone che hanno una storia di migrazione, arrivando a contare tra i suoi ospiti 95 diverse nazionalità. In particolare, la Fondazione ha fornito il suo contributo in termini di accoglienza per affrontare, a livello locale, alcune “emergenze”:

  • la cosiddetta emergenza Nord Africa nel 2011
  • la guerra in Siria, gli arrivi dalla Libia, soprattutto di migranti provenienti dall’Africa subsahariana tra il 2013 e il 2015
  • il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan nel 2021
  • la guerra in Ucraina nel 2022
  • la guerra a Gaza nel 2024

Accanto a queste attività sociali, la Casa della Carità ha sempre promosso occasioni di riflessione e dibattito sul tema dell’immigrazione. Impegno che nel 2017 è culminato nella promozione di “Ero Straniero – L’umanità che fa bene”, una campagna culturale e una legge di iniziativa popolare per cambiare il racconto dell’immigrazione, superare la legge Bossi-Fini e vincere la sfida dell’inclusione dei cittadini stranieri puntando su accoglienza, lavoro e inclusione.

Nel 2024, la Casa della Carità ha partecipato a “Le rotte del clima”, un progetto promosso da una ampia rete di organizzazioni attive sul fronte migratorio e sulle questioni climatiche con l’obiettivo di costruire una fotografia approfondita del fenomeno delle migrazioni climatiche e ambientali attraverso la raccolta diretta di dati e informazioni dalle persone migranti.

Scopri le storie di alcune persone migranti e rifugiate che sono state accolte alla Casa della Carità e aiutaci a continuare a offrire ospitalità, protezione e la speranza in un futuro migliore alle persone in fuga da guerre, povertà, disastri ambientali, condizioni di vita pericolose e non degne.


Fonti

[L’immagine di copertina è Iqro Rinaldi su Unsplash]


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