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Povertà di salute: barriere, diritti, prossimità

La salute non dipende solo dai geni, ma anche – e soprattutto – dalle condizioni in cui si vive. In questa intervista, Gaia Jacchetti, medica della Casa, racconta cosa significa “povertà di salute”.

La salute non dipende solo dai geni, ma anche – e soprattutto – dalle condizioni in cui si vive. In questa intervista, Gaia Jacchetti, medica della Casa della Carità, racconta cosa significa affrontare la “povertà di salute” e qual è l’impegno per garantire alle persone più vulnerabili il diritto alla salute.

Come si manifesta, nella lavoro quotidiano di Casa della Carità, la “povertà di salute”?

La risposta breve che potremmo dare a questa domanda è racchiusa nel tema dei “determinanti di salute”. La salute di un individuo dipende, infatti, in minima parte dal patrimonio genetico che ciascuno ha; dall’altra parte, c’è tutta una serie di fattori sociali, economici e ambientali che impattano sulla persona e sulla sua salute. Tra questi fattori ci sono per esempio l’istruzione, il lavoro e il reddito, l’ambiente e lo stile di vita, il gradiente sociale…

Pensando alle persone che incontriamo ogni giorno — che non hanno un lavoro o hanno un lavoro ma guadagnano troppo poco per vivere dignitosamente, non hanno una casa, vivono per strada — sappiamo, perché è dimostrato, che queste condizioni fanno ammalare di più, prima e più a lungo. E spesso impediscono anche di curarsi adeguatamente, con conseguenze pesanti, fino alla morte precoce.

Poi pensando alla vita in strada, che è molto faticosa, questa impatta su cose anche più piccole; per esempio tenere addosso le scarpe tutto il giorno, tutti i giorni, senza mai toglierle, può dare un problema di infezioni ai piedi. Oppure pensiamo a chi ha una malattia cronica, come il diabete, che richiede di farsi l’insulina; vivendo sulla strada, non ci si ammala di più di diabete, ma è chiaro che rende meno capaci di occuparsi della propria salute.

Quali sono le barriere più frequenti che impediscono alla persona fragile di curarsi?

La barriera principale è legata all’accesso al sistema sanitario. Le persone che non hanno una residenza — o che, pur essendo comunitarie, non sono residenti in Italia, che in questo momento in Lombardia sono quelle più fragili — non hanno diritto all’assistenza primaria, quindi non possono avere un medico di base. Per queste persone, la sola possibilità è quella di rivolgersi al pronto soccorso.

Esistono ambulatori dedicati, nati proprio per rispondere a questo bisogno, ma devono essere conosciuti, e spesso non lo sono.

C’è poi un altro aspetto: anche le persone che hanno i documenti e, in teoria, avrebbero diritto alla cura, spesso non conoscono questo diritto, oppure non sanno come muoversi nel sistema. La lingua, ad esempio, è una barriera: chi non parla bene l’italiano fatica a spiegare la propria situazione e a comprendere le risposte che riceve.

Un altro esempio riguarda le persone con permessi di soggiorno di breve durata. Se il permesso scade ogni sei mesi, scade anche la tessera sanitaria. E se non viene rinnovata subito, si entra facilmente in un periodo in cui non si può accedere ai servizi sanitari, con ricadute su ogni aspetto della vita: non si può andare dal medico, non si possono presentare certificati di malattia al lavoro… È un circolo vizioso che colpisce anche chi ha strumenti culturali e organizzativi, figuriamoci chi vive in condizioni di fragilità.

Ci sono poi ostacoli burocratici reali. Anche quando una persona ha diritto all’assistenza, può capitare che agli sportelli riceva risposte sbagliate. Per esempio, da gennaio 2023 i minori stranieri hanno diritto ad avere un pediatra o un medico di base fino ai 18 anni, ma capita ancora di sentire che “serve il domicilio” o “serve il codice fiscale”. Anche i genitori più capaci, davanti a questi muri, si scoraggiano.

Infine, c’è un’altra barriera più silenziosa ma molto presente: quella delle priorità. Per una persona che non ha casa, lavoro e documenti in regola, la salute finisce spesso in fondo alla lista. Soprattutto in caso di patologie croniche, che magari non danno sintomi immediati, ci si occupa della propria salute solo quando la situazione è già compromessa.

Cosa fa la Casa della Carità per provare ad affrontare questa “povertà di salute?

La Casa ha sempre avuto al centro della sua azione il tema della salute delle persone più fragili, attraverso i suoi ambulatori. Tra il 2022 e il 2024, in collaborazione con altri 9 enti del terzo settore milanese, ha attuato il Progetto Arcturus”, con cui ha sperimentato una struttura di prossimità per la salute delle persone che vivono in grave emarginazione, con l’obiettivo non solo di offrire prestazioni sanitarie, ma di prendersi cura della persona nella sua interezza, con un approccio multidisciplinare.

Un approccio che continua in tutte le attività dedicate alla salute della Casa, dove chi arriva non trova solo il medico, ma anche infermieri, educatori, volontari, agenti di prossimità.

L’idea di fondo non è creare dipendenza dal servizio, ma aiutare le persone ad accedere pienamente ai diritti che già hanno, accompagnandole, quando necessario, anche fisicamente, oppure semplicemente offrendo le giuste informazioni al momento giusto.


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