Approfondimenti

Cosa sono i CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio)

Cosa sono i CPR e cosa significano per le persone migranti che vi sono trattenute? Leggi l’approfondimento della Casa della Carità e scopri il nostro impegno per chiederne la chiusura.

I CPR – Centri di Permanenza per il Rimpatrio sono strutture di detenzione amministrativa, dove vengono rinchiusi quei cittadini stranieri provenienti dai Paesi non UE sprovvisti di documenti di soggiorno, in attesa che venga eseguito un provvedimento di espulsione. 

Introdotti nel 1995 con il Decreto-legge Dini e poi ufficialmente istituiti nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano come CPT – Centri di Permanenza Temporanea, nel 2002, con l’approvazione della Legge Bossi – Fini, vennero rinominati CIE – Centri di Identificazione ed Espulsione e nel 2017 con la Legge Minniti – Orlando si è arrivati alla definizione attuale.

Negli anni, i CPR si sono dimostrati luoghi in cui le condizioni di vita sono drammatiche, da un punto di vista del rispetto dei diritti e della dignità delle persone trattenute, oltre che sotto il profilo delle condizioni igienico-sanitarie e della salute fisica e mentale.

Leggi questo approfondimento per sapere perché la Casa della Carità è impegnata nella battaglia che chiede la chiusura dei CPR


Che cosa sono i CPR: definizione e funzione

I CPR – Centri di Permanenza per il Rimpatrio sono strutture di detenzione amministrativa, destinate cioè a persone che non hanno commesso un reato penale, ma un illecito amministrativo. Nei CPR, in particolare, vengono rinchiusi cittadini stranieri sprovvisti di documenti di soggiorno validi, in attesa che venga eseguito un provvedimento di espulsione. 

Possono essere confusi con altri centri destinati alle persone straniere, quali:

  • hotspot: centri dedicati alla gestione di grandi arrivi di persone migranti, dove vengono effettuate operazioni di prima assistenza e identificazione delle persone migranti, di informazione sulle modalità di richiesta della protezione internazionale e di smistamento verso altri centri. Attualmente in Italia ci sono 4 hotspot: Lampedusa, Trapani, Pozzallo e Taranto
  • centro di accoglienza: è una struttura che fornisce alloggio temporaneo e una prima accoglienza a richiedenti asilo e rifugiati in attesa che le loro domande di protezione internazionale siano valutate dalle autorità competenti (CAS – Centro di Accoglienza Straordinaria) o un’accoglienza di secondo livello, che comprende anche progetti di inclusione sociale,  a persone che hanno già ottenuto lo status di rifugiato (SAI – Sistema di Accoglienza e Asilo)

Chi finisce in un CPR e perché

Nei CPR sono richiuse persone straniere provenienti da Paesi extra UE, sprovviste di documenti di soggiorno validi. Sono persone che dovrebbero essere rimpatriate, perché hanno già ricevuto un decreto di espulsione, convalidato da un giudice di pace.

In alcuni casi, anche i richiedenti asilo possono essere trattenuti nei CPR, se, ad esempio, si ritiene che costituiscano un pericolo per l’ordine pubblico, vi sia un pericolo di fuga o se si ritiene che la domanda di protezione internazionale sia strumentale.

Il trattenimento è disposto con un provvedimento del Questore, che deve essere notificato all’autorità giudiziaria entro 48 ore, che deve a sua volta convalidarlo entro le successive 48 ore.

Formalmente, chi è in un CPR ha uno status di “persona trattenuta” o “ospite”, ma sono di fatto persone detenute, che pur non avendo commesso alcun reato, vivono in condizioni spesso peggiori rispetto alle carceri, poiché non possono ricevere visite e, tranne alcune eccezioni, non hanno modo di comunicare con l’esterno. Inoltre, dal momento che la permanenza dovrebbe essere temporanea, non esistono percorsi educativi e ricreativi.

Spesso, nei CPR si verificano proteste e atti di autolesionismo. Alcune persone trattenute nei CPR si sono tolte la vita.

Dove si trovano i CPR in Italia

In Italia esistono attualmente 10 CPR, per un totale di 1.300 posti, situati a: Milano, Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Ponte Galeria (Roma), Palazzo San Gervasio (Potenza), Macomer (Nuoro), Brindisi, Bari, Trapani, Caltanissetta e Torino. 

Alla lista, si deve poi aggiungere il CPR di Gjadër in Albania, in funzione da aprile 2025. Questo CPR era stato inaugurato a ottobre 2024, a seguito della firma di un protocollo tra Italia e Albania, con la funzione di trattenere persone migranti intercettate nel Mediterraneo, in attesa dell’esame delle loro richieste di asilo. Al suo interno erano presenti sia un centro di trattenimento che una struttura carceraria. Per mesi, il governo ha cercato di utilizzarlo con questa finalità, ma senza successo, finché, nel marzo 2025, ha approvato un decreto-legge che consente di impiegare almeno la parte del centro destinata a CPR come un qualsiasi altro centro di permanenza per il rimpatrio, dove vengono trasferite persone prive di documenti fermate sul territorio italiano.

Tutti i CPR si trovano in aree extraurbane, vicino a zone militari o aeroportuali, e sono stati realizzati in strutture già esistenti: strutture penitenziarie in disuso, ex caserme militari o di centri polifunzionali.

Come funziona il rimpatrio dei migranti dai CPR

Esistono due principali modalità di rimpatrio per le persone migranti: il rimpatrio volontario e quello forzato. 

  • Rimpatrio volontario: la persona decide autonomamente di lasciare l’Italia per tornare nel proprio Paese d’origine, utilizzando mezzi propri oppure usufruendo di fondi e servizi offerti dal programma di “Rimpatrio volontario assistito”, come orientamento, organizzazione del viaggio, assistenza medica, copertura delle spese di trasporto e dei documenti, oltre a un contributo economico per favorire il reinserimento lavorativo e sociale nel Paese d’origine.
  • Rimpatrio forzato: prevede l’accompagnamento obbligato della persona straniera priva dei requisiti legali per restare in Italia fino al Paese di origine. Sono escluse da questo tipo di misura: i minori, gli apolidi, chi è in attesa di una decisione sulla propria domanda protezione internazionale, e chi, pur avendo perso lo status di rifugiato, rischierebbe gravi violazioni dei diritti umani se rimpatriato, come persecuzioni o torture. Affinché il rimpatrio possa avvenire, il cittadino straniero deve essere stato identificato, serve un volo disponibile e del personale di polizia da distaccare per il trasferimento. Inoltre devono esserci degli accordi bilaterali di riammissione o di rimpatrio, tra l’Italia e i paesi di origine dei migranti. Attualmente questi accordi sono molto pochi: Albania, Algeria, Bangladesh, Egitto, Filippine, Ghana, Marocco, Moldavia, Nigeria, Pakistan, Senegal, Somalia, Sri Lanka, Tunisia.
    Per questo, a fronte del numero degli ordini di espulsione emessi, i rimpatri effettuati sono molto pochi. Secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Interno disponibili, nel 2024 sono state espulse 5.389 persone, circa ¼ delle persone che hanno ricevuto un ordine di espulsione.

Durata e controlli nei CPR: cosa dice la legge

Attualmente, la normativa prevede una permanenza massima di 18 mesi, ma negli anni, la durata del trattenimento nei CPR ha subito diverse modifiche:

  • Legge 40/1998 (Turco-Napolitano) – Trattenimento massimo: 30 giorni
  • Legge 189/2002 (Bossi-Fini) – Trattenimento (previsto anche per richiedenti asilo) massimo di 60 giorni
  • Decreto-legge 92/2008 (“Pacchetto sicurezza”) e Legge 94/2009 – Trattenimento massimo: 180 giorni
  • Legge 129/2011 (Recepimento Direttiva Rimpatri) – Trattenimento massimo: 12 mesi (prorogabile di 60 giorni in 60 giorni)
  • Legge 161/2014 – Trattenimento massimo: 90 giorni
  • Decreto-legge 13/2017 (Minniti-Orlando) – Durata del trattenimento invariata: 90 giorni
  • Decreto-legge 113/2018 (Salvini) – Trattenimento massimo: 180 giorni
  • Decreto-legge 130/2020 (Lamorgese) – Trattenimento massimo: 90 giorni,
    prorogabili di 30 giorni per cittadini di Paesi con accordi di riammissione; trattenimento massimo: 180 giorni per chi rifiuta l’identificazione
  • Decreto-legge 20/2023 (Cutro) –  ha innalzato il periodo massimo di trattenimento a 18 mesi (6 mesi iniziali, seguiti da proroghe trimestrali)

CPR e migranti: aspetti sociali e culturali

Come detto, i CPR sono veri e propri “buchi neri” del diritto, dove le condizioni di vita delle persone trattenute sono ai limiti della disumanità, tra cibo scadente, violenze, abuso di psicofarmaci, come documentato da diverse relazioni, report e visite nei centri e dai video delle persone trattenute che riescono a comunicare con l’esterno. I CPR, inoltre, per le società private che li gestiscono sono fonte di grande profitto. Per massimizzare i guadagni, infatti, queste società tagliano i costi dei servizi alla persona o del personale, già scarso.

Per tutti questi motivi, negli anni sono nate diverse campagne e iniziative della società civile per chiedere la chiusura di questi centri: da “Siamo tutti clandestini” del 1999, a “LasciateCIEntrare”, nata nel luglio 2011 a seguito della Circolare Maroni che bloccava l’accesso alla stampa negli allora CIE, alla più recente mobilitazione della rete Mai più lager-NOCPR, solo per citarne alcune.La SIMM – Società italiana di medicina delle migrazioni ha diffuso un appello in cui, oltre alla chiusura dei CPR, si chiede che “si dichiari che nessun professionista della salute (…) possa fornire e tantomeno essere costretto a fornire le proprie prestazioni professionali in tali luoghi funzionalmente alla loro operatività (ad esempio tramite la sottoscrizione di valutazioni di idoneità alla reclusione nei Cpr, richieste dalle autorità di polizia) in Italia e all’estero, in quanto privi delle tutele essenziali per le persone detenute e contrari all’etica professionale della cura”.

La sentenza della Corte costituzionale sul trattenimento nei CPR

Con la sentenza n.96/2025, depositata il 3 luglio 2025, la Corte Costituzionale ha stabilito che la disciplina vigente sul trattenimento nei CPR non rispetta la legge in materia di libertà personale

In particolare, la Corte ha detto che la normativa sui CPR viola l’articolo 13 della Costituzione, che stabilisce che “la libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.

La sentenza non dichiara illegittima l’esistenza dei CPR, ma riconosce che la legge non disciplina come dovrebbe i “modi” e i procedimenti per la restrizione della libertà personale in questi centri, non prevede i diritti e le forme di tutela dei “trattenuti”, non individua l’autorità giudiziaria competente al controllo delle modalità di trattenimento e alla tutela giurisdizionale dei diritti dei migranti trattenuti né ne definisce il ruolo e i poteri.

La Corte Costituzionale chiede quindi al legislatore di intervenire con una normativa che corregga questa situazione, per “garantire certezza del diritto e dignità della persona in un ambito dove si intrecciano sicurezza pubblica, immigrazione e diritti umani”.

Ma, commenta la CILD – Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili «Non è “istituzionalizzando” e “regolamentando” un sistema di abusi che questi si saneranno».

Advocacy e impegno sociale: la posizione di Casa della Carità

La Casa della Carità aderisce alle campagne che chiedono la chiusura di tutti i CPR, poiché, è dimostrato, sono luoghi lesivi dei diritti umani delle persone che vi sono trattenute, dove si verificano trattamenti inumani e degradanti.

I CPR, inoltre, sono spesso gestiti da enti privati in modo poco trasparente e con ingenti costi. In un suo report del 2022, la CILD ha stimato che dal 2018 al 2021, siano stati spesi 44 milioni di euro per la gestione dei 10 CPR attivi in Italia, cui vanno sommati i costi del personale di polizia e di manutenzione.

La Casa, in particolare, chiede la chiusura del CPR di via Corelli a Milano, dove negli anni si sono registrate tantissime criticità, riguardanti le condizioni materiali del trattenimento, il diritto alla difesa, le comunicazioni con l’esterno attraverso l’utilizzo di telefoni, l’assistenza sanitaria, la tutela dei soggetti vulnerabili. Nel marzo 2025, i rappresentanti della società che gestiva il centro sono stati accusati di frode in pubbliche forniture e turbativa d’asta.

Leggi l’appello per la chiusura del CPR di via Corelli


Fonti

[In apertura: l’ingresso del CPR di via Corelli a Milano – Foto di Fabrizio Maffioletti]


SOSTIENI LA CASA DELLA CARITÀ

La Casa della Carità è una vera famiglia per bambini, anziani, donne e uomini di ogni età, Paese e religione.

Dona speranza, cura, un aiuto concreto alle persone seguite dalla Fondazione.

Dona ora
WordPress Double Opt-in by Forge12
Dona ora