Storie

Da Gaza a Casa della Carità: dolore e speranza nel viaggio di Tayeb

Fuggita da Gaza con le sue tre bambine, Tayeb è stata accolta alla Casa, dove spera nella possibilità di un nuovo inizio.

Sempre più spesso alla Casa della Carità arrivano persone e famiglie in fuga da una delle tante guerre che insanguinano il mondo. Solo negli ultimi quattro anni, la Casa ha accolto decine di persone scappate dall’Afghanistan, dall’Ucraina, da Gaza.

Tra le persone arrivate più di recente c’è Tayeb, una donna di 30 anni che è riuscita a fuggire da Gaza insieme alle sue tre figlie: Halima di 6 anni, Ramia di 5 anni e Nawal di 3. Nella Striscia, però, era rimasto Ramy, marito di Tayeb e padre delle tre bimbe.

A raccontare la loro storia è l’équipe della Casa della Carità che si occupa dell’accoglienza di persone rifugiate nell’ambito del progetto SAI – Sistema di Accoglienza e Integrazione: «Questa famiglia è originaria di Gaza City, dove viveva insieme alla mamma di Tayeb, Zarifa. Quando Israele ha iniziato a bombardare la città, la famiglia è stata evacuata nel sud della Striscia, a Rafah, come quasi tutta la popolazione. Ci hanno detto di aver vissuto momenti di angoscia, perché a Rafah c’erano tantissime persone e cibo e acqua già allora scarseggiavano. Si arrangiavano come potevano, ma almeno erano ancora tutti insieme», raccontano le operatrici Elena Marchesi, Fatmah Mohamed e Elisa Antoniazzi.

Scampate a un bombardamento

Un venerdì, giorno di preghiera per i musulmani, Ramy si reca come sempre in moschea, mentre Tayeb e la madre rimangono a casa, per preparare il pranzo e badare alle bambine. È in quel momento che una bomba colpisce la palazzina dove la famiglia aveva trovato rifugio e la fa crollare. «Fortunatamente erano tutte vive, ma non si potevano muovere. Solo quando il raid israeliano terminò, i soccorritori e i loro concittadini iniziarono a scavare per ritrovarle. Le tirarono fuori una alla volta dalle macerie, miracolosamente vive, ma gravemente ferite», dice Elena.

Tayeb, Zarifa e le bambine vengono portate in un ospedale di Rafah, dove i medici riescono a operarle per attenuare i danni peggiori. Ramy, intanto, raggiunge la sua famiglia nella clinica, sotto shock per quello che era appena successo. Le condizioni delle due donne e delle bambine sono stabili, ma dopo i primi mesi di attacchi israeliani le risorse dell’ospedale sono già scarse e non permettono di curarle al meglio. Proprio in quei giorni però, siamo a dicembre 2023, l’Italia invia una nave militare, la Vulcano, nel porto il porto di Al Arish, in Egitto, a circa 50 km dal confine con la Striscia, per assistere la popolazione civile palestinese e portare in Italia un gruppo di bambini di Gaza gravemente feriti per poterli curare. Tra di loro c’erano anche le bambine di Tayeb.

Da Gaza a Milano per essere curate

È così che la famiglia arriva a Milano. «Le bimbe sono state ricoverate all’ospedale Buzzi, mentre Tayeb e Zarifa al Galeazzi. Hanno subito tutte vari interventi, principalmente ortopedici, e sono rimaste ricoverate per alcuni mesi. Una volta in grado di uscire, il Comune di Milano ha contattato la Casa, per sapere se nell’ambito del progetto SAI ci fosse un appartamento che potesse accogliere la famiglia», spiega Elisa.

Tayeb con le sue figlie e nonna Zarifa sono arrivate alla Casa a fine marzo 2024: «Appena arrivate erano molto spaesate, ma felici di essere finalmente di nuovo tutte insieme, al sicuro e in una casa dignitosa e subito hanno costruito con noi un bellissimo rapporto», raccontano le operatrici, che da subito aiutano la famiglia nell’iter per la domanda di asilo e le accompagnano alle varie visite mediche di controllo. Le bambine vengono iscritte a scuola, mentre Tayeb e Zarifa frequentano il corso di italiano per stranieri, tenuto dalle volontarie e dai volontari della Casa. Il loro percorso è ancora lungo e ogni tanto Fatmah, mediatrice della Casa, deve ancora tradurre per loro, ma, dice «se la stanno cavando davvero bene con l’italiano!».

Le operatrici della Casa sono costantemente vicine alla famiglia e di questo Tayeb e Zarifa sono grate. Spesso le invitano a cena nel loro appartamento e Zarifa prepara loro piatti palestinesi buonissimi: dal riso con la carne e le verdure, al mahshi (foglie di vite ripiene di riso ed erbe aromatiche), al pane fatto in casa con le spezie za’atar. In queste serate passate insieme fanno foto, giocano con le bambine e riescono a farle ridere, nonostante tutto.

«Con la famiglia di Tayeb si è creata una bellissima relazione, vera, umana e non basata sull’assistenzialismo. Insieme stiamo tutte molto bene, come se fossimo delle vecchie amiche», dice Elena.

L’abbraccio con Ramy

Nonostante una ritrovata serenità, la permanenza del marito a Gaza angosciava profondamente Tayeb. Ramy non era potuto partire insieme alla famiglia perché – le avevano detto – c’erano già due accompagnatori per le bambine: Tayeb e sua madre. «Il pensiero di saperlo bloccato nella Striscia, soprattutto dopo la fine della tregua, la faceva stare malissimo», raccontano le operatrici della Casa della Carità. Insieme all’avvocato della Fondazione, Peppe Monetti, e all’avvocata del Comune di Milano Elisa Capanna, avevano avviato ogni tentativo per un ricongiungimento familiare, anche se tutto sembrava ostacolato: non solo l’arrivo in Italia, ma perfino l’uscita dalla Striscia pareva impossibile.

Ma ora, grazie al grande lavoro delle operatrici della Casa della Carità, finalmente Ramy è riuscito a lasciare Gaza ed è arrivato a Milano. Un evento che ha portato un immenso sollievo a tutta la famiglia, e che dà nuova forza anche a Tayeb. Le operatrici raccontano che in questi mesi si era aggrappata a ogni spiraglio.

Il trauma della guerra, della separazione e dello sradicamento ha lasciato segni profondi. Anche se ora la famiglia è finalmente riunita, resta il bisogno di cura e di supporto psicologico. La Casa della Carità continua a seguire Tayeb, Ramy e le bambine per aiutarli ad affrontare quanto vissuto e ricostruire insieme una nuova quotidianità.

«Tayeb non ha mai espresso apertamente la sua sofferenza, ma la trasmetteva in tanti modi – racconta Fatmah – Quando ci parlava delle condizioni a Gaza, della mancanza di cibo e acqua, o ci mostrava video e foto, si percepiva chiaramente quanto sentisse la mancanza del marito. Anche le bambine hanno vissuto la distanza con grande dolore. Lo sentivano ogni tanto al telefono, ma avevano bisogno di stare con lui, di abbracciarlo».

Ora che sono di nuovo insieme, resta tanto da elaborare, ma la presenza del padre è un passo fondamentale verso la guarigione.


SOSTIENI LA CASA DELLA CARITÀ

La Casa della Carità è una vera famiglia per bambini, anziani, donne e uomini di ogni età, Paese e religione.

Dona speranza, cura, un aiuto concreto alle persone seguite dalla Fondazione.

Dona ora
WordPress Double Opt-in by Forge12
Dona ora