La violenza di genere riguarda tutte e tutti. Per questo la Casa della Carità è impegnata nel contrastarla, attraverso le sue attività sociali e culturali. In questo articolo sulla violenza domestica, vogliamo capire insieme come riconoscere i segnali e chiedere aiuto
La violenza domestica – fenomeno presente, senza eccezioni, in ogni paese del mondo e diffuso tra tutte le classi sociali – è una violazione dei diritti umani delle donne e una forma di discriminazione contro di loro, agita all’interno della famiglia o tra persone legate, attualmente o in passato, da una relazione affettiva. Essa non si limita alla violenza fisica, ma comprende anche quella verbale, psicologica, emotiva, economica e sessuale.
Un’indagine sulla violenza di genere nell’Unione Europea nel 2024 ha stimato che il 18% delle donne nell’UE abbia subito violenza fisica, minacce o violenza sessuale da parte di un partner nel corso della propria vita e che circa il 32% delle donne abbia subito violenza psicologica.
La violenza domestica ha effetti profondi sulle donne che la subiscono, causando non solo lesioni fisiche, ma anche gravi ripercussioni psicologiche e anche i figli possono subirne le conseguenze, anche solo assistendo alla violenza.
La violenza di genere non è un fatto privato, ma una ferita collettiva che riguarda tutte e tutti. Per questo la Casa della Carità è impegnata nel contrastarla, attraverso le sue attività sociali e culturali.
In questo articolo sulla violenza domestica, vogliamo capire insieme come riconoscere i segnali e chiedere aiuto.
Quando si parla di violenza domestica?
La Legge n. 119 del 15 ottobre 2013, recante «disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere», definisce la violenza domestica come “uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.
Nel nostro ordinamento, tuttavia, non esiste un reato specifico chiamato “violenza domestica” e il reato è di fatto affrontato dall’art. 572 del Codice Penale, che punisce chi maltratta un familiare, un convivente o una persona affidata alla propria cura, educazione o custodia. Si tratta di un reato che richiede la ripetizione di comportamenti violenti o vessatori nel tempo, e non un singolo episodio.
A livello sovranazionale, l’11 maggio 2011 il Consiglio d’Europa ha adottato la “Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica” – meglio nota come “Convenzione di Istanbul” – che rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza.
La Convenzione è entrata in vigore il 1° agosto 2014, dopo essere stata ratificata da 10 stati e l’Italia è stata tra i primi paesi europei a ratificarla, con la Legge n. 77 del 27 giugno 2013.
Dopo la firma della Convenzione di Istanbul, l’Italia ha approvato la Legge 119/2013, che ha rafforzato gli strumenti di contrasto alla violenza di genere e migliorato la tutela delle donne e dei loro figli. La norma ha reso più efficaci le sanzioni per i reati di maltrattamento in famiglia, violenza sessuale e atti persecutori, introducendo anche misure specifiche di prevenzione e protezione.
In particolare, la legge:
- ha istituito un fondo nazionale per sostenere i centri antiviolenza e le case rifugio, distribuito ogni anno tra le Regioni
- ha previsto un Piano d’azione straordinario per prevenire e contrastare la violenza sessuale e di genere
- ha definito obiettivi comuni per rendere omogenee le iniziative sul territorio nazionale
- ha affidato alla Conferenza Stato-Regioni il compito di stabilire i criteri per la ripartizione dei fondi, in base al numero di strutture presenti in ciascuna Regione
- ha stabilito chi può istituire e gestire centri antiviolenza e case rifugio
Nel 2019, con la Legge n. 69/2019, l’Italia ha introdotto il cosiddetto “Codice rosso di contrasto alla violenza di genere”: un insieme di norme che mirano a proteggere le vittime di violenza domestica e di genere, creando una corsia preferenziale per accelerare le indagini e l’adozione di provvedimenti protettivi. Il codice rosso ha previsto anche l’introduzione di nuovi reati come il “revenge porn” (la divulgazione non consensuale di immagini e video intimi) e la deformazione del volto.
Nel 2023 il Codice Rosso è stato rafforzato da due interventi normativi: il Decreto Legge 122/2023, in vigore dal 30 settembre, e la Legge 168/2023, nota come DDL Roccella, entrata in vigore il 9 dicembre. Queste norme costituiscono il cosiddetto “Codice Rosso Rafforzato” e hanno l’obiettivo di rendere più rapida ed efficace la risposta della giustizia ai casi di violenza, attraverso queste novità:
- il Pubblico Ministero deve ascoltare la persona che ha sporto denuncia entro tre giorni dalla ricezione del caso
- le misure preventive e cautelari sono potenziate, per proteggere subito le vittime e impedire la reiterazione dei reati
- viene introdotta una formazione specifica per gli operatori di forze dell’ordine, magistrati, personale sanitario
- è rafforzata la comunicazione con la persona offesa, per garantirle maggiore tutela e informazione durante tutto il procedimento
I segnali della violenza domestica: come riconoscerli
La violenza domestica si manifesta spesso gradualmente, seguendo un andamento ciclico, che tende cioè a ripetersi nel tempo. Questo processo è noto come “spirale della violenza” e si articola in tre fasi principali:
- Crescita della tensione – aumentano litigi, critiche e atteggiamenti di controllo dell’uomo sulla donna
- Esplosione della violenza – il partner agisce comportamenti aggressivi, che possono essere fisici, verbali, psicologici o sessuali
- Fase della riconciliazione (o luna di miele) – l’aggressore chiede scusa, promette cambiamento o mostra pentimento. Segue un periodo di calma apparente, che però spesso precede una nuova escalation
Con il tempo, le fasi di tensione e violenza diventano sempre più frequenti e intense, mentre i momenti di pace si riducono. Alcuni segnali per riconoscere la violenza domestica sono:
- atteggiamenti costanti di sospetto, accuse infondate o richieste di isolamento da parte del partner
- svalutazione e colpevolizzazione, insulti, umiliazioni, critiche continue o tentativi di far sentire la vittima responsabile del comportamento dell’aggressore
- minacce e intimidazioni: uso della paura per mantenere il controllo, anche senza ricorrere alla forza fisica
- violenza economica: negazione dell’accesso al denaro, obbligo di dipendere economicamente dal partner o controllo delle spese
- violenza sessuale: imposizione di rapporti o pratiche indesiderate
Anche da fuori è importante saper vedere e ascoltare alcuni segnali, che possono indicare che una donna può essere vittima di violenza domestica, come per esempio:
- cambiamenti emotivi: ansia, paura, senso di colpa, chiusura verso gli altri, difficoltà di concentrazione o disturbi del sonno
- isolamento sociale: allontanamento graduale da amici, familiari o luoghi di socialità
- H2 – Le conseguenze sulla persona e sui figli
Descrivere le ripercussioni fisiche ed emotive.
Focus sui bambini che assistono alla violenza (keyword correlata: violenza domestica figli).
Effetti a lungo termine: paura, sfiducia, difficoltà relazionali.
La violenza domestica ha effetti profondi sulle donne che la subiscono, causando non solo lesioni fisiche, ma anche gravi ripercussioni psicologiche, che possono arrivare a minare l’identità personale, rendendo difficile fidarsi degli altri o costruire relazioni sane.
Tra le ripercussioni più gravi che una donna vittima di violenza domestica può vivere ci sono:
- ansia
- problemi di salute mentale, come depressione
- disturbo post-traumatico da stress (DPTS)
- disturbi alimentari
- disturbo da uso di sostanze
Anche i figli possono subirne le conseguenze: assistere alla violenza, pur senza esserne vittime dirette, può provocare traumi emotivi, paura e difficoltà relazionali, influenzando negativamente il loro sviluppo e il benessere futuro. Le conseguenze possono essere diverse:
- difficoltà di concentrazione e rendimento scolastico basso
- problemi nelle relazioni con coetanei e adulti
- comportamenti di chiusura, aggressività o regressione (come tornare a comportamenti infantili già superati)
- disturbi d’ansia, depressione o bassa autostima, che possono persistere anche in età adulta.
Senza un adeguato sostegno, questi bambini rischiano di riprodurre modelli violenti nelle loro relazioni future, diventando a loro volta vittime o autori di comportamenti abusivi.
Cosa fare in caso di violenza domestica: quali sono i primi passi per chiedere aiuto
Se stai vivendo una situazione di violenza domestica, sappi che non sei sola e puoi chiedere aiuto in modo sicuro e riservato: rivolgendoti a strutture e numeri di emergenza dedicati a offrirti protezione, ascolto e sostegno.
Il numero 1522
Il numero 1522 è gratuito – anche dai cellulari – ed è attivo 24 h su 24, per accogliere con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno. Puoi chiamare anche solo per avere un consiglio.
Visitando il sito www.1522.eu, troverai tutte le informazioni e potrai anche chattare con le operatrici, in modo sicuro, anonimo e riservato.
I Centri antiviolenza
In tutte le regioni italiane esistono dei centri antiviolenza: delle strutture specializzate, dove operatrici donne accolgono e sostengono gratuitamente donne vittime di violenza, insieme ai loro figli, offrendo un ambiente sicuro e riservato. In questi luoghi è possibile ricevere ascolto, supporto psicologico e legale, aiuto per ricostruire la propria autonomia e, se necessario, ospitalità in case rifugio a indirizzo segreto.
Su questo sito trovi una mappatura dei centri antiviolenza, regione per regione: https://www.1522.eu/mappatura-1522/
A Milano il centro antiviolenza “Mai da Sole”
La Casa della Carità collabora con il centro antiviolenza “Mai da Sole”, promosso dal CeAS – Centro Ambrosiano di Solidarietà, che si trova a Milano, in viale Giuseppe Marotta 8.
Il centro antiviolenza “Mai da Sole” offre:
- Ascolto e sostegno telefonico
- Informazione e orientamento
- Consulenze psicologiche e sociali (con psicologhe e assistenti sociali)
- Consulenza e assistenza legale (civile e penale)
- Accompagnamento ai servizi socio-sanitari del territorio
- Mediazione linguistica e culturale
- Incontri di sensibilizzazione e prevenzione sulla violenza di genere
- Accoglienza e protezione in casa rifugio
I servizi del centro antiviolenza sono completamente gratuiti, e sono garantite privacy e riservatezza.
Come aiutare una persona vittima di violenza domestica
Chi sta vicino a una donna che subisce, o si sospetta possa subire, violenza domestica, può avere un ruolo molto importante.
Innanzitutto può informarsi, per imparare a riconoscere i segnali della violenza e comprendere la situazione. Queste persone possono essere una sorta di “sentinella”, un punto di riferimento che aiuta la donna a prendere consapevolezza di ciò che sta vivendo.
Si possono suggerire strategie e modalità per facilitare un eventuale contatto con il centro antiviolenza, sempre nel rispetto dei tempi e delle scelte della donna. È fondamentale, infatti, non imporre nulla. Ogni passo deve partire dalla volontà della donna stessa. Non si può obbligarla a sporgere denuncia o intraprendere azioni per cui non si sente pronta.
I centri antiviolenza, inoltre, sono disponibili non solo ad accogliere direttamente le donne vittime di violenza, ma anche ad ascoltare amici, parenti o conoscenti che desiderano capire come aiutarle.
Aspetti legali: denuncia e pene previste
I reati contro le donne, sono attualmente puniti secondo questi articoli del codice penale:
- Art. 572 c.p. punisce maltrattamenti contro familiari o conviventi: la reclusione va dai 3 ai 7anni. La pena aumenta fino alla metà se il fatto è commesso in danno di minori o di donne in stato di gravidanza
- Art. 609-bis c.p punsice la violenza sessuale: la reclusione va dai 5 ai 10 anni. Sono previste aggravanti in casi specifici, per esempio se la vittima è minorenne o se il fatto è commesso da un genitore o pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni. Il 12 novembre 2025, la Commissione Giustizia della Camera ha proposto un emendamento bipartisan, cioè sostenuto da maggioranza e opposizione, che introduce il concetto di consenso, adeguando la legislazione italiana alla Convenzione di Istanbul: chiunque compie o fa compiere atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» dell’altra persona può essere punito con la reclusione da 6 a 12 anni.
- Art. 612-bis c.p. punisce gli Atti persecutori (Stalking) : La reclusione va da un 1 anno a 6 anni e 6mesi. La pena aumenta se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da una persona che sia o sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, oppure se il fatto è commesso con strumenti informatici o telematici
- Art. 582 c.p. punisce le Lesioni personali: La pena base varia a seconda della gravità delle lesioni
- Per lesioni gravi, la reclusione va dai 4 agli 8 anni
- Per lesioni gravissime, la reclusione va dai 7 ai 15 anni
Il Codice Rosso ha introdotto specifiche aggravanti se i reati di lesioni personali sono commessi in contesti di violenza domestica.
- Art. 387-bis c.p., introdotto con il c.d. Codice rosso, punisce la violazione dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa: punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni
Il 7 marzo 2025, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge (attualmente all’esame della Camera dei Deputati) per introdurre nel codice penale il reato di femminicidio. Questo nuovo articolo (577 bis c.p.) punisce con l’ergastolo chiunque provochi la morte di una donna “per motivi legati all’odio, discriminazione, prevaricazione, o come conseguenza del suo rifiuto di una relazione o di una condizione di soggezione. Vengono mantenute le aggravanti degli articoli 576 e 577, mentre in presenza di una sola attenuante ritenuta prevalente sulle aggravanti, la pena minima è di 24 anni”.
Un impegno che riguarda tutti: costruire una cultura del rispetto
Nonostante negli anni siano state rafforzate pene e sanzioni con l’obiettivo di contrastare la violenza di genere e siano stati addirittura introdotti reati specifici, le donne continuano a essere vittime di maltrattamenti e violenze di vario tipo e continuano a morire per mano di partner ed ex partner.
Come mostrano diversi studi criminologici (Baratta, 2019; Pavarini, 2013; Mosconi, Padovan 2005), rendere le pene più severe o creare nuovi reati serve poco o nulla a prevenire comportamenti che nascono da radici culturali e sociali profonde.
Per questo, occorre ribadire che la violenza domestica non si combatte solo con la punizione, ma soprattutto con la prevenzione e una cultura del rispetto, che è responsabilità collettiva.
In particolare, la prevenzione comincia nelle scuole, con un’educazione sessuo-affettiva, alle relazioni, alla parità di genere, che in Italia ancora manca e che, come sottolineano le linee guida dell’OMS, dovrebbe partire già dai 5 anni.
Questo perché, solide evidenze confermano che le disuguaglianze legate ai ruoli di genere iniziano già nelle prime fasi della vita, con effetti dannosi sia per i maschi che per le femmine.
Sempre secondo l’OMS, l’educazione sessuo-affettiva è importante perché “fornisce a bambini, bambine e giovani le conoscenze, le competenze, gli atteggiamenti e i valori necessari per proteggere la propria salute, sviluppare relazioni sociali e sessuali basate sul rispetto, compiere scelte responsabili e comprendere e tutelare i diritti degli altri”.
Fonti
- Istat.it – La violenza sulle donne
- Istat.it – Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica
- Reteantiviolenzamilano.it – La legislazione sulla violenza
- Direcontrolaviolenza.it
- RapportoAntigone.it – Il femminicidio come reato autonomo: i rischi della risposta meramente punitiva alla violenza di genere
- Who.it – Comprehensive sexuality education