Che cosa sono i centri antiviolenza, come si accede e quali servizi offrono. Ne parliamo con Lucia Volpi, del centro antiviolenza “Mai da Sole” del CeAS
Aiutare le donne a riconoscere la violenza, riacquistare consapevolezza e riprendere in mano la propria vita. Ma anche contribuire a costruire una cultura di parità e rispetto tra i generi. Sono questi gli obiettivi dei centri antiviolenza, luoghi fondamentali per aiutare le donne vittime di violenza domestica e maltrattamenti.
Ne abbiamo parlato con Lucia Volpi, responsabile del centro antiviolenza “Mai da Sole”, promosso a Milano dal CeAS – Centro Ambrosiano di Solidarietà / Cooperativa CeAS – Oltre il pregiudizio.
Lucia, che cos’è un centro antiviolenza?
A me piace dire che il centro antiviolenza è un luogo di donne per le donne, dove una donna che è vittima di violenza – che non è solo quella fisica – o che vive una situazione di difficoltà di questo tipo, può trovare interventi di sostegno gratuito e un ascolto competente, fatto da operatrici formate sul tema.
In particolare, nei centri antiviolenza le donne possono trovare sostegno psicologico, consulenza legale, sia penale che civile, e, nel caso di donne straniere, un ascolto in presenza di una mediatrice culturale, che può quindi aiutare la donna a capire un po’ meglio dove si trova e che cosa vuol dire essere vittima di violenza.
Nei casi in cui è necessario, si avvia anche un percorso di accoglienza e protezione in casa rifugio.
In che modo si accede a questi centri?
L’accesso ai centri antiviolenza è gratuito e assolutamente anonimo. In particolare, al nostro centro si può venire di persona nella nostra sede, oppure si può chiedere ascolto e sostegno telefonico o via email1.
Purtroppo registriamo ancora molta difficoltà ad avvicinarsi ai centri antiviolenza. Ammettere di trovarsi in una relazione violenta significa infatti riconoscersi come vittima, mettendo in discussione la propria relazione e ciò che si è costruito fino a quel momento.
Il messaggio che vorremmo passasse invece è che, nonostante il nome, il centro antiviolenza non è solo un luogo di emergenza, ma uno spazio di ascolto e libertà, dove le donne possono parlare dei propri problemi.
Chi sono le donne che si rivolgono al vostro centro?
Vediamo donne di tutte le provenienze geografiche e di tutte le estrazioni sociali.
Nell’ultimo anno, tuttavia, abbiamo registrato un forte aumento di donne sudamericane. Questo può essere dovuto al fatto che c’è stato un grosso lavoro di informazione nei consolati dell’America Latina a Milano e, probabilmente anche grazie a questo, è aumentata la conoscenza dei centri antiviolenza ed è maturata la consapevolezza della propria condizione, il che ha portato a un’emersione del fenomeno.
Nell’ultimo anno abbiamo visto aumentare anche le donne con patologia psichiatrica, alcune già riconosciute altre no, e quindi la presa in carico diventa più complessa, perché bisogna mettersi in rete con i servizi della salute mentale.
Una fascia che invece rimane ancora molto sommersa è quella delle donne con disabilità, che faticano a essere prese in carico. Un po’ perché c’è una maggiore difficoltà a chiedere aiuto – per esempio chi ha una mobilità ridotta e non riesce raggiungere in autonomia un servizio – ma anche a volte per la mancanza di risorse o competenze specifiche nei servizi. Proprio per questo, insieme ad altri enti (Fondazione Somaschi onlus, fondazione ASPHI onlus, LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità e Centro per la famiglia card. Carlo Maria Martini, ndr) è stato avviato il progetto “Artemisia” (Attraverso Reti Territoriali Emersione di Situazioni di violenza), con l’obiettivo di favorire l’emersione della violenza ai danni delle ragazze e delle donne con disabilità.
Dicevi che la violenza non è solo quella fisica…
Esatto, la violenza non è solo quella che lascia segni sul corpo, come volti tumefatti o polsi segnati dai lividi viola. Violenza è tutto ciò che, in una relazione, mette una donna in una condizione di inferiorità rispetto al partner.
Pensando agli ultimi fatti di cronaca avvenuti a Milano, in particolare al femminicidio di Pamela Genini, sui media si è molto sottolineato il fatto che lei non avesse denunciato l’ex compagno violento. In qualche modo, questo sembra spostare parte della responsabilità sulla vittima, come se la colpa fosse anche un po’ sua…
Spesso, i mass media e l’opinione pubblica insistono con forza sul messaggio “denunciate, denunciate, denunciate”. È un appello comprensibile, ma rischia di semplificare una realtà molto più complessa. La denuncia infatti è un passaggio importante, ma rappresenta l’esito di un percorso di consapevolezza. Denunciare significa infatti riconoscere la violenza subita e decidere di affrontarla fino in fondo. Tuttavia, questo passo può essere compiuto solo quando la donna ha maturato una certa forza interiore e consapevolezza di quanto ha vissuto, ed è pronta a sostenere tutto ciò che la denuncia comporta.
Il centro antiviolenza è proprio quel luogo che aiuta la donna a prendere consapevolezza della sua situazione, a capire cosa sta vivendo e quali possono essere i passi successivi. È inutile forzare o “saltare” questa fase di riconoscimento.
Ecco perché il centro antiviolenza svolge un ruolo essenziale: informa, accompagna e sostiene la donna in ogni fase. Anche attraverso la consulenza legale, le operatrici possono spiegare che cosa comporta una denuncia, quali sono i diritti e le tutele previste, e che cosa succederà dopo. È importante sapere che il centro mette a disposizione avvocati competenti e che, per quanto riguarda la parte penale, l’assistenza legale è gratuita.
Un altro aspetto spesso trascurato è che la denuncia può fare paura. Molte donne non sanno bene a cosa si va incontro e temono le conseguenze, anche perché non sempre la denuncia garantisce protezione immediata. Se la situazione non è considerata di alto rischio, la donna può trovarsi in una zona grigia, esposta e vulnerabile, in attesa di misure giudiziarie o di un processo. In questo momento delicato, può subire ricatti emotivi o pressioni, rischiando di sentirsi sola.
È fondamentale quindi lavorare sulla costruzione di una rete di sostegno, fatta di relazioni, servizi e accompagnamento, che permetta alla donna di sentirsi davvero protetta e di trovare la forza di andare avanti. Il centro antiviolenza rappresenta proprio questo: uno spazio di ascolto, sostegno e strategie concrete, in qualunque fase del percorso la donna si trovi e indipendentemente dal fatto che abbia già deciso di denunciare o meno.
C’è poi tutto il grande tema dell’educazione e della formazione nelle scuole, di cui tanto si sta parlando anche in questo periodo…
I centri antiviolenza portano avanti un lavoro di formazione e sensibilizzazione nelle scuole, rivolto non solo agli studenti, ma anche ai docenti, che spesso si trovano ad affrontare in classe temi complessi come la parità di genere, il rispetto reciproco e la prevenzione della violenza.
Non è chiaro di cosa abbiano paura coloro che boicottano o ostacolano queste iniziative. L’obiettivo, infatti, è insegnare fin da piccoli il valore dell’uguaglianza e della relazione sana tra persone. Educare bambini e bambine, già dalle scuole elementari e anche prima, a riconoscere l’altro come un individuo di pari valore significa gettare le basi per comportamenti di rispetto e collaborazione, liberi da ricatti, prevaricazioni e stereotipi.
Noi, in particolare, abbiamo lavorato e stiamo lavorando nelle scuole superiori, nelle classi quarte. Il nostro intervento non è durato un giorno, ma ben due mesi e con ragazze e ragazzi abbiamo fatto un percorso. Parlarne solo il 25 novembre sì, serve a tenere viva l’attenzione sul problema, ma non fa sedimentare quelle che sono le possibilità di cambiamento. Fare dei percorsi graduali e più a lungo termine può rappresentare invece un elemento strutturale, che regolarmente porta avanti questo discorso sulla parità di genere.
Gli stimoli dei media, della comunicazione online e della pubblicità, infatti, perpetrano ancora molti stereotipi, anche tra gli adulti, e i giovani non riconoscono che c’è ancora una certa disparità.
Un ultimo tema che vorrei affrontare è quello di chi sta fuori dalla relazione, di chi sa che un’amica, una sorella, una parente è vittima o potrebbe essere vittima di violenza. Cosa possono fare le persone che stanno intorno alla donna?
Chi sta vicino a una donna che subisce, o si sospetta possa subire, violenza domestica, può avere un ruolo molto importante.
Innanzitutto può informarsi, per imparare a riconoscere i segnali della violenza e comprendere la situazione. Queste persone possono essere una sorta di “sentinella”, un punto di riferimento che aiuta la donna a prendere consapevolezza di ciò che sta vivendo.
Si possono suggerire strategie e modalità per facilitare un eventuale contatto con il centro antiviolenza, sempre nel rispetto dei tempi e delle scelte della donna. È fondamentale, infatti, non imporre nulla. Ogni passo deve partire dalla volontà della donna stessa. Non si può obbligarla a sporgere denuncia o intraprendere azioni per cui non si sente pronta.
I centri antiviolenza, inoltre, sono disponibili non solo ad accogliere direttamente le donne vittime di violenza, ma anche ad ascoltare amici, parenti o conoscenti che desiderano capire come aiutarle.
- CONTATTI CENTRO ANTIVIOLENZA MAI DA SOLE
Accesso libero, gratuito e anonimo dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17
Indirizzo: viale Giuseppe Marotta 8 – 20134 Milano
Telefono gratuito: 02.21786390 (Collegato al 1522)
E-mail: maidasole@ceasop.it ↩︎