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Violenza di genere: il ruolo dei CUAV nella rieducazione di uomini maltrattanti

Con la criminologa e councelor Laura Ciapparelli, parliamo del ruolo dei Centri Uomini Autori di Violenza (CUAV) nella prevenzione della violenza di genere: percorsi rieducativi, obiettivi, interventi previsti dalla legge e risultati

La violenza contro le donne è un problema degli uomini e non può esserci uscita dalla violenza, se anche gli uomini non sono educati ad adottare comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali e a modificare i modelli di comportamento violenti. È quanto stabilisce, all’articolo 16, la Convenzione di Istanbul, un trattato internazionale del Consiglio d’Europa – firmato nel 2011 e ratificato dall’Italia nel 2014 – per la prevenzione e il contrasto alla violenza di genere.

Per questo anche in Italia, seppur in ritardo rispetto ad altri Paesi, hanno iniziato a diffondersi i cosiddetti “CUAV – Centri Uomini Autori di Violenza”, che promuovono programmi trattamentali con una finalità rieducativa, per prevenire altri comportamenti violenti e per proteggere la donna e i suoi figli.

Ne abbiamo parlato con Laura Ciapparelli, criminologa e counselor, che lavora, tra gli altri, per il CUAV “Andrea” della Fondazione Somaschi di Milano.

Quando nascono e di cosa si occupano i CUAV in Italia?

In Italia i CUAV nascono a partire dal 2009. Il primo è stato il CAM – Centro di Ascolto uomini Maltrattanti di Firenze, che ha portato nel nostro Paese la modalità di lavoro “psicoeducativa”. 

Oggi esistono una cinquantina di centri, coordinati a livello nazionale dall’associazione RELIVE – Relazioni Libere dalle Violenze, che sono dedicati a uomini autori e anche a potenziali autori di violenza

Quali sono gli obiettivi dei CUAV?

I CUAV fanno parte della rete antiviolenza perché, insieme ai centri antiviolenza (CAV, ndr), lavorano tutti per il medesimo obiettivo: la sicurezza delle donne sopravvissute a violenza e quella dei loro figli. Se i CAV si occupano delle vittime, i CUAV lavorano con l’uomo autore di violenza, con una finalità rieducativa.

Lo scopo del trattamento è quello di accompagnare l’autore a un’assunzione di responsabilità della violenza, perché come la violenza è una scelta, anche uscirne è una scelta.

Quali sono i percorsi proposti?

Ci sono differenti modalità di trattamento specifico. Ci sono centri che hanno un approccio più criminologico, altri più psicoeducativo; c’è chi fa percorsi individuali e chi di gruppo. 

Per quanto riguarda il nostro CUAV, il trattamento avviene in incontri di gruppo, co-condotti da diverse figure professionali. 

Prima dell’accesso al gruppo, si effettuano colloqui individuali per verificare che sussistano le condizioni necessarie per l’avvio del programma, valutando la motivazione della persona e che non ci siano condizioni ostative. Per esempio, se uomo continua a negare quello che ha fatto, difficilmente potremo aiutarlo in quel momento, anche se lasciamo sempre la porta aperta e lo invitiamo a tornare. Altre condizioni che impediscono l’accesso a questi percorsi sono la presenza di disturbi psichiatrici o dipendenze, non presi in carico dai servizi.

Cosa succede, nel concreto, in questi percorsi?

La durata minima del trattamento è di 60 ore da svolgere in almeno 12 mesi e sono previsti, oltre agli incontri di gruppo, dei colloqui individuali periodici, per fare una verifica sull’andamento del percorso, la valutazione del rischio e della motivazione al cambiamento.

Come i CAV analizzano il ciclo della violenza dal punto di vista delle vittime, noi lo facciamo dall’esperienza dell’uomo, da ciò che accade dentro di lui.

Per esempio, durante gli incontri si chiede all’uomo di descrivere concretamente cosa gli succede quando litiga: le sensazioni fisiche (“mi si irrigidisce il collo, stringo i pugni”), le situazioni che lo attivano (per esempio parlare dei figli) e le parole che usa (“non sei una brava madre”). Tutti questi elementi vengono nominati e riconosciuti insieme: cosa è un segnale corporeo, cosa è un fattore scatenante, cosa costituisce una forma di denigrazione e quindi di violenza. Si costruisce così un linguaggio comune che permetta di prendere consapevolezza del proprio agire e delle sue conseguenze.

L’obiettivo è far comprendere all’uomo che può porsi domande difficili, riconoscere i propri schemi di violenza e, soprattutto, costruire insieme agli operatori una risposta diversa: una modalità non violenta di stare nel conflitto e nella relazione.

Parallelamente si lavora sugli stereotipi di genere e su ciò che la società trasmette rispetto a come “dovrebbe essere” il maschile.

Il percorso continua poi con un monitoraggio nel tempo, pensato per verificare la continuità del cambiamento. A questo si affianca un elemento fondamentale: il contatto con la partner. Si tratta di un’attività gestita da professioniste completamente separate dal lavoro con gli uomini, esperte di sostegno alle donne vittime di violenza

Il contatto partner ha due obiettivi principali. Il primo è la valutazione del rischio: capire se la donna e i figli sono al sicuro. Anche se il CUAV entra in contatto con l’uomo, non è detto che la donna sia già seguita o abbia una rete di supporto. Se necessario, viene quindi messa in collegamento con i centri antiviolenza e con i servizi che possono sostenerla.

Il secondo obiettivo è evitare che l’uomo manipoli la percezione del proprio percorso. Può accadere che dica alla partner: “Hai visto? Mi hai detto di farmi aiutare, ci sono andato, ho fatto tre colloqui, ora sto bene”. L’operatrice, invece, chiarisce alla donna come funziona realmente il percorso: durata, obiettivi, tappe. Nella valutazione iniziale con lei vengono anche condivisi i comportamenti messi in atto dall’uomo, così che abbia un quadro completo.

A metà del percorso maschile, la donna può essere ricontattata – solo se lo desidera – per verificare se ci sono stati cambiamenti o nuovi episodi di violenza. È un modo per garantirle informazioni corrette e per proteggerla da possibili manipolazioni.

Come avviene l’accesso? Per via giudiziaria o anche spontaneamente?

L’accesso ai CUAV può essere spontaneo, su invio dei servizi o su mandato dell’autorità giudiziaria. Su accesso spontaneo spesso vediamo uomini che ci chiedono aiuto perché spaventati da un proprio comportamento violento e vogliono capirne di più, o perché sono spinti dalla partner.

I CUAV però sono diventati parte integrante della cosiddetta legge sul “Codice Rosso”, che è la 69 del 2019, e nella successiva Legge Roccella, la 178 del 2023, come strumenti essenziali e formalizzati di intervento rieducativo e prevenzione della recidiva per gli autori di violenza domestica e di genere. 

Queste leggi non prevedono un “obbligo trattamentale” automatico per tutti gli uomini, ma se l’autore vuole accedere a misure alternative o, laddove previsto, alla sospensione condizionale della pena, queste sono subordinate all’obbligo di partecipare a specifici percorsi di recupero comportamentale.

Su questo punto voglio sottolineare una cosa: non ci sono sconti di pena. Questo perché, come prevede la Costituzione, la pena ha una finalità rieducativa; se io ti condanno a una pena detentiva e basta, tu non lavorerai sull’assunzione di responsabilità rispetto al comportamento che hai messo in atto.

Inoltre, per accedere alle misure alternative o alla sospensione, la partecipazione deve essere effettiva e costante: un minimo di 60 ore, nell’arco di minimo 12 mesi, dicevamo. E non basta che l’uomo si presenti; deve dimostrare di essere compartecipativo e di aver compreso il comportamento violento che lui ha messo in atto, assumersene la responsabilità, e soprattutto comprendere che quel comportamento ha creato un danno alla donna sopravvissuta.

Quali sono gli esiti che vedete negli uomini che intraprendono questi percorsi?

Osserviamo veri e propri “spostamenti”, cambiamenti nel modo in cui riconoscono ciò che è e non è violenza. Il lavoro consiste anche nel rinarrare i comportamenti usando un linguaggio nuovo e condiviso. Accade allora che l’uomo dica: “Ah, ok, quella cosa lì è violenza fisica… l’ho messa in atto. In quel momento sono stato un uomo fisicamente violento; in quest’altro episodio sono stato psicologicamente violento”.

È proprio questo passaggio – il riconoscimento e l’accettazione della responsabilità – che segna l’inizio del cambiamento.

In alcuni percorsi questo movimento è molto evidente, in altri più sfumato e non sempre si arriva a un cambiamento completo, ma nella maggior parte dei casi si registra un aumento significativo della consapevolezza e un’alta percentuale di interruzione della violenza. 

I CUAV fanno anche attività di formazione nelle scuole? 

Sì, assolutamente si fanno attività di prevenzione con i ragazzi e con le ragazze, e si fa anche formazione e informazione con i servizi, la tutela minori, i servizi sociali, i consultori, gli ospedali, proprio perché tutti possono intercettare la violenza e se tu la conosci sai cosa fare per non girare la faccia dall’altra parte.

Contatti utili

Sul territorio di ATS Città Metropolitana di Milano il CUAV Andrea opera nel servizio “Progetto U.O.Mo.”, promosso da ATS in collaborazione con il C.I.P.M. Chiunque può scrivere e chiedere una consulenza o una valutazione scrivendo alla mail: progettouomo21@gmail.com o telefonando negli orari di apertura:

  • Lunedì 9-13 
  • 02. 84104462 – 335.360258
  • Martedì 14-18 
  • 02. 84104462 -335.360258 
  • Giovedì 9-13.
  • 338.6072181 

Per una richiesta di informazioni o un contatto diretto per le altre attività del CUAV ANDREA è possibile scrivere alla mail: cuavandrea@fondazionesomaschi.it o chiamare al numero 366 9108250.

ORARI DI APERTURA:

  • lunedì 18-20
  • martedì 13-18
  • giovedì 9-14

[In copertina: Foto di Erika Fletcher su Unsplash]


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