Con Monica Allievi e Ann Stirling scopriamo la figura delle agenti di prossimità e il loro ruolo nel contrastare la “povertà di salute”.
Nel prendersi cura delle persone più fragili, la Casa della Carità si pone anche l’obiettivo di garantire a tutte e tutti il pieno accesso al diritto alla salute. Questo significa accompagnare le persone, quando necessario anche fisicamente, ai servizi sanitari, oppure semplicemente fornire loro le informazioni adeguate per orientarsi.
A svolgere questo importante compito è una figura nata nell’ambito della sperimentazione del Progetto Arcturus: l’“agente di prossimità”. Alla Casa della Carità, questo ruolo è svolto da Monica Allievi e Ann Stirling, che abbiamo intervistato per capire in che modo contribuiscono a contrastare la “povertà di salute” delle persone che si rivolgono alla Fondazione.
Che cosa fa l’agente di prossimità?
Ann: Innanzitutto, noi offriamo un orientamento alle persone su tutto ciò che riguarda la salute. Spesso, infatti, chi si rivolge a noi non conosce i propri diritti. Per esempio, molti non sanno che i bambini minorenni senza permesso di soggiorno hanno diritto al pediatra.
Monica: A volte le aiutiamo anche in cose che sembrano banali, come prendere un appuntamento per una visita medica, oppure andiamo con loro dal medico di base e facciamo un po’ da mediatrici. Questo perché, magari, è la prima volta che incontrano il medico e la nostra presenza le fa sentire più sicure.
Ann: In alcuni casi dobbiamo accompagnare fisicamente le persone ai servizi, perché possono avere difficoltà motorie, problemi di salute mentale o una barriera linguistica o per la loro fragilità semplicemente non riescono ad andarci da sole. In alcune circostanze il nostro lavoro si estende anche all’ambito dell’advocacy per quanto riguarda la salute della persona.
Altre volte, invece, seguono le nostre indicazioni, si presentano all’ufficio competente o per richiedere la tessera sanitaria o per una visita specialistica ma l’operatore del servizio pubblico gli nega ciò che gli spetta. Capita infatti che a volte nemmeno gli operatori siano a conoscenza di questi diritti. In quei casi dobbiamo intervenire noi per sbloccare la situazione e difendere i diritti di queste persone.
Essendo straniera anch’io, mi capita spesso di immedesimarmi in chi accompagniamo. Mi è successo più di una volta, infatti, di essere trattata in maniera molto brusca quando sentono che ho un accento straniero. Se trattano così me, che sono un’operatrice, mi rendo conto di quanto possa essere difficile per una persona straniera in difficoltà e che non parla bene la lingua italiana, affrontare queste situazioni da sola.
Chi sono le persone che accogliete?
Monica: nella maggior parte dei casi sono stranieri, con o senza i documenti, ma c’è anche una discreta percentuale di italiani. Moltissime persone arrivano dal servizio docce della Casa della Carità o vengono qui semplicemente per chiedere informazioni, per prendere un appuntamento con l’avvocato, il guardaroba o il corso di italiano…
Come si sviluppa la relazione con loro?
Ann: il primo aggancio è sempre sul lato sanitario, perché quello è il bisogno esplicito, ma nella quasi totalità dei casi l’aiuto non finisce lì, perché il bisogno implicito lo si va a scoprire parlando, bevendo un caffè insieme e così si apre una valigia piena di altre problematiche. E quindi fa parte del nostro ruolo anche accompagnarle dall’avvocato o dall’assistente sociale della Casa, con il vantaggio di non essere né l’avvocato né l’assistente sociale, che sono figure che magari possono mettere un po’ di soggezione. Questa flessibilità aiuta anche nel rapporto con le persone che accompagniamo.
Fa anche parte del nostro lavoro promuovere l’indipendenza delle persone, quindi facciamo vedere loro i passaggi che devono fare una, due, tre volte e cerchiamo di capire se poi possono fare le cose da sole.
Monica: quando poi vedi ti scrivono per ringraziarti perché sono riuscite a fare un percorso e a farlo da sole è una bella sensazione!
Quali sono i problemi più frequenti che affrontate?
Monica: fondamentalmente il problema principale è la burocrazia; io lo dico sempre che quando vengono i peruviani, io ne seguo tanti, nel loro paese per fare un documento, vanno e fanno il documento. Qui per avere un documento devono fare il documento, per avere un documento, per ottenere un documento, per avere un timbro che gli permette di avere il documento. Anche semplicemente il fatto che sono abituati che se hanno bisogno di andare dall’ortopedico, vanno dall’ortopedico, mentre qui devi passare dal medico di base, andare dall’ortopedico e poi tornare dal medico di base per loro è una cosa complicata da capire.
Per tutti, stranieri e italiani, il problema più grande è però quello della residenza; questo è veramente uno scoglio, perché magari riescono a fare qualsiasi cosa e poi sulla residenza ci si blocca, perché senza residenza, tra le altre cose, non si ha diritto all’assistenza sociale, non si ha accesso ai servizi territoriali pubblici e privati di welfare, non si può fare l’ISEE e di conseguenza accedere alla mensa scolastica con una retta adeguata alle proprie economie o accedere a specifici servizi come quello dell’UOMPIA (Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza, ndr)…
Ann: noi vediamo tantissimi bambini autistici che non possono accedere ai servizi di sostegno, perché non hanno la residenza…
Monica: Con la nuova riforma, infatti, l’iter per ottenere il sostegno per i minori con disabilità è piuttosto complesso. Si parte dall’UONPIA che è l’unico ente autorizzato a rilasciare il certificato diagnostico funzionale. Una volta ottenuto, il pediatra o medico di base compila un altro certificato medico, che viene poi trasmesso all’INPS. A questo punto, la famiglia deve rivolgersi a un CAF, che inoltra la domanda all’INPS. Segue poi la convocazione da parte della commissione, alla quale è necessario presentare tutta la documentazione medica, compreso il certificato dell’UOMPIA. Sulla base di questi documenti, la commissione valuta la situazione e stabilisce a quali supporti il minore ha diritto, compresi gli interventi di educativa scolastica o altre forme di sostegno. Per una persona straniera, che magari parla poco italiano e non conosce bene i servizi orientarsi è davvero complicato.