Parole di carità – Natale 2021

«La Casa della Carità, famiglia umanissima»

Per questo ultimo numero dell’anno del Parole di Carità, vicino al Natale e all’Anniversario della Casa, ti parlerò del senso dell’accoglienza delle famiglie nell’ascolto della Parola di Dio, prendendo spunto dalla storia di Tobia e Sara nel Vecchio Testamento nel libro di Tobia e la nascita e l’infanzia di Gesù Cristo nel Nuovo Testamento.

Nel Vecchio Testamento incontriamo Tobia, che intraprende un cammino di salvezza e guarigione insieme all’arcangelo Raffaele. Grazie al suo aiuto, troverà moglie, Sara e la libererà dalla maledizione di Asmodeo, il demone che aveva fatto morire i suoi mariti la prima notte di nozze.

Inoltre, Raffaele insegnerà a Tobia come guarire il padre dalla cecità. La Salvezza di Sara e del suocero, anch’egli di nome Tobia, passa dall’ascolto degli insegnamenti di Dio, che si manifesta sotto le vesti dell’Arcangelo Raffaele, “colui che guarisce”. Tobia ascolta i consigli di uno sconosciuto incontrato in viaggio, per trovare la salvezza.

Nel Nuovo Testamento, sono la nascita della Sacra Famiglia, che ha origine dalla comparsa di Gesù sulla Terra e l’infanzia del Bambino divino, che mi interrogano quando rifletto sull’ospitalità alla Casa della Carità. Nella storia della Natività il riconoscimento è al centro, prima di tutto, della scelta di Giuseppe di ascoltare Dio, accogliendo Gesù nonostante non fosse il suo figlio biologico, come si dice oggi. Giuseppe – in cammino con Maria per il censimento, per essere riconosciuti come individui e come famiglia, parallelismo interessante – accetta di dargli un nome e, con questo gesto, di assumersi la responsabilità nei confronti della crescita, dell’educazione, della protezione del figlio di Dio. Giuseppe si affida a Dio, che a sua volta gli affida il proprio figlio. Giuseppe è il custode della promessa di salvezza.

Papa Francesco ci ricorda che “tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in seconda linea hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza.”

Quando 19 anni fa ci siamo chiesti chi ospitare in questa Casa della Carità, si è posto il problema se ospitare donne e uomini o anche famiglie. Vedi, nell’emergenza, si tende ad accogliere la persona singola, tralasciando la sua dimensione familiare, anche se aveva relazioni stabili. Questo perché le dinamiche familiari, l’aver bisogno come nucleo, perdono valore davanti all’emergenza di trovare un posto, un letto, un pasto. Ma già allora noi sapevamo che nessuno si salva da solo. Abbiamo pensato che accogliere una famiglia può valorizzare ulteriormente la generatività dell’accoglienza.

Del resto, questa idea è alla base di tutto il nostro operato, da quando il Cardinal Martini ci ha donato l’icona delle Querce di Mamre, con Abramo che accoglie lo straniero. È così che la nostra storia di ospitalità, che ripercorro in queste settimane così speciali per queste due ricorrenze ravvicinate, l’Anniversario della Casa della Carità e il Natale, è stata sempre punteggiata dall’accoglienza di famiglie: quelle che provenivano dalle baraccopoli della città di Milano, quelle che avevano perso tutto e infine anche la casa, le famiglie di migranti che fuggono da paesi in guerra (come le famiglie afghane accolte questo autunno), dalla miseria, da disastri climatici. Con tutte queste   famiglie, condividiamo non semplicemente tutto il lavoro di “uscita” dalla situazione difficile in cui si trovano, ma anche le preoccupazioni per il futuro dei figli, con una prossimità che è anche responsabilità.

Ma la Casa della Carità accoglie anche persone singole, senza famiglia; per loro, “si fa famiglia” lei stessa. Papa Francesco, parlando sempre di Giuseppe, ricorda che “tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti.” In questo senso la Casa della Carità si fa famiglia, ricordando che tutti facciamo parte della grande famiglia umana. E nel suo farsi famiglia, accoglie, protegge, custodisce con delicatezza. Dona nuove relazioni, le nutre, promuove affettività, chiede a ciascuno di fare la propria parte, come in una famiglia. In questo modo, l’accoglienza diventa una dinamica di ospitalità appassionata, stimolante, dialogante, arricchisce anche la quotidianità.

Torno all’infanzia di Gesù, su un punto che mi sta molto a cuore e cioè la delicatezza, il silenzio nel quale è avvolta nei Vangeli. Ecco, anche qui alla Casa della Carità c’è un grande rispetto per le persone accolte, che vengono prima di tutto ascoltate, osservate, custodite nel silenzio, come

Giuseppe ha fatto con Gesù. Questo vuol dire cercare di andare oltre lo sguardo, al dolore non detto, a volte racchiuso in un piccolo gesto. E, nel tempo, lasciare crescere, fiorire, andare per la propria strada tutte le persone delle quali si è presa la responsabilità, che ha curato all’interno della propria famiglia.

Il Cardinal Martini, Arcivescovo di Milano e fondatore della Casa della Carità, parlava di Chiesa come “comunità alternativa”, basata su relazioni di fraternità e gratuità, nel segno del Vangelo. Voleva dire che la chiesa è una famiglia, che l’Eucaristia è in grado di generare legami forti. Nella comunione, nasce una parentela, una comunità, un’appartenenza, un senso di unione reciproco. Questo cerchiamo di essere alla Casa della Carità, questo significa per noi essere Chiesa, farci famiglia, comunità, appunto.

Tu ormai sei parte di questa famiglia umanissima, la Casa della Carità, con il tuo sostegno e grazie all’ascolto e al dialogo che si sta creando nella condivisione delle riflessioni. Ti ringrazio con tutto il cuore per la tua vicinanza e per il senso di appartenenza a questa comunità, che sento forte.

Questo Natale, saremo ancora una volta insieme, ci faremo famiglia per i più piccoli, per gli ultimi.

BUON NATALE a te e ai tuoi cari, nel segno dell’appartenenza alla grande famiglia umana!

Un caro saluto,