Sbilanciarsi nella speranza: storie di accoglienza e fiducia
Nel primo numero delle nostre Parole di Carità di quest’anno voglio raccontarti di come la Casa della Carità si è impegnata ad accogliere donne, uomini e bambini che hanno dovuto lasciare tutto da un giorno all’altro e fuggire sperando di trovare un posto sicuro nel mondo. Quando si abbandona tutto, cosa può rimanere? Cosa possiamo fare noi per consolare le persone che vivono un dramma così tremendo? Alla Casa della Carità crediamo da sempre che sia importante “camminare insieme nella speranza” e costruire relazioni basate sulla fiducia reciproca per affrontare questi momenti pieni di odio e bruttura nel mondo. Quali sono le persone in cui hai riposto la tua fiducia e che ti hanno fatto dire “Qui, con voi, sono finalmente in pace”? GRAZIE di cuore per le riflessioni che spero vorrai condividere con me e GRAZIE per la fiducia che riponi in questa grande Casa.
Ogni giorno alla Casa della Carità c’è qualcuno che arriva. Spesso sono persone singole, che bussano alla nostra porta per chiedere un posto per dormire o un aiuto con i documenti; oppure arrivano perché hanno bisogno di una visita medica, di una doccia calda o di vestiti puliti. In molti casi, semplicemente, domandano di essere ascoltate.
Questi arrivi sono quotidiani e, possiamo dire, sono “previsti”. Ma nella storia della Casa è capitato molte volte che tante persone arrivassero a seguito di un’emergenza. È capitato, nei primi anni di apertura, con le famiglie rom sgomberate dai campi delle periferie milanesi; poi con i minori non accompagnati arrivati dal Nord Africa a seguito delle Primavere Arabe e continua a capitare con tante famiglie che si sono trovate da un giorno all’altro senza un posto dove vivere.
Sempre più spesso, però, questi arrivi “imprevisti” riguardano persone e famiglie in fuga dalla guerra: Siria, Afghanistan, Ucraina, Gaza…
La Casa non ha mai mancato di offrire una risposta di accoglienza pronta e immediata, anche quando queste persone sono arrivate all’improvviso, e questo perché all’origine dell’esperienza di Casa della Carità c’è la Buona Notizia dello “sbilanciarsi di Dio”, che accogliendo la nostra umanità così com’è, ci chiede di non avere paura a “sbilanciarci” a nostra volta accogliendo l’altro per quello che è.
È, per esempio, l’esperienza di accoglienza che stiamo vivendo con Tayeb, una donna palestinese di 30 anni, arrivata da Gaza con le sue tre splendide figlie Halima, Ramia e Nawal. Come hai potuto leggere nella lettera che accompagna queste Parole di carità, Tayeb e le sue figlie, già sfollate all’interno della Striscia a causa della guerra, hanno rischiato la vita perché una bomba ha fatto crollare la palazzina dove avevano trovato riparo.
Questa accoglienza mi invita a condividere alcune domande e alcuni pensieri che sento miei.
Mi domando, per esempio: come possiamo consolare Tayeb e la sua famiglia, se non aprendoci alla loro accoglienza? Come possiamo guardare in avanti, se non condividendo con loro, passo dopo passo, la vita? Cosa possiamo dire loro, e alle vittime delle altre guerre che insanguinano tante parti del mondo, circa quello che stanno soffrendo come singoli e come popolo?
L’unica cosa che possiamo fare è condividere con chi incontriamo la speranza. Ed è proprio quello che stiamo facendo con un’altra famiglia scappata da un Paese estremamente insicuro, l’Afghanistan. Con loro abbiamo vissuto l’incertezza e la paura dei primi momenti in Italia, dove hanno dovuto ricominciare tutto, ma anche momenti di pura gioia, come la nascita della loro piccola Delara. Da qualche settimana la piccola, colpita da una grave patologia, si trova in ospedale e rimane attaccata alla vita con tutta l’esile forza che i suoi due mesi di vita sanno sprigionare.
È in momenti come questi che intuisco il significato più profondo del “camminare nella speranza”. I passi condivisi ci hanno reso reciprocamente cari ed esprimono il significato più profondo dell’accoglienza in Casa della Carità.
Un’altra riflessione che mi pongo, e ti pongo, è che l’accoglienza è un atto di fiducia, mai unilaterale ma sempre reciproco. Ma quanta fiducia negli altri esseri umani possono avere una donna, un uomo, un popolo sottoposti continuamente a soprusi, ingiustizie, negazioni?
Sul tema della fiducia, voglio richiamare l’intervento di David Grossman al recente “SOUL Festival della Spiritualità – la fiducia, la trama del noi”, promosso dall’Arcidiocesi di Milano e dall’Università Cattolica: «Ha senso parlare di fiducia in un tempo di ferro come questo, quando i conflitti appaiono insanabili con la loro immensa scia di dolore, quando consumiamo la nostra esistenza nella comfort zone della bolla digitale? È più facile continuare a odiare, perché è una cosa che si conosce: sfiliamoci, cerchiamo di superare questa prova, di cambiare, e la realtà ci parrà diversa. Quando eravamo sul punto di raggiungere la pace tra Israele e la Palestina, parecchi anni fa, ho pensato questa immagine: c’è una persona che deve saltare tra due alberi e c’è un momento, quando decidi di saltare, che sei in aria, non c’è terreno sotto i piedi e se non si ha il coraggio di fare il salto, di essere sospesi nell’aria, vuol dire che abbiamo sbagliato lavoro, modo di essere e modo di fare. Se invece ce lo permettiamo, probabilmente riusciamo a ottenere una vera pace”.

Un altro pensiero me lo ha regalato Papa Francesco che, durante il suo ricovero, in una lettera al direttore del Corriere della Sera, ha scritto: “Da qui la guerra appare ancora più assurda. La fragilità umana, infatti, ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide. Forse per questo tendiamo così spesso a negare i limiti e a sfuggire le persone fragili e ferite!”.
Come richiama Papa Francesco, il mio invito è ad aprire il cuore a chi è fragile e ferito e riflettere insieme su come l’accoglienza, la speranza e la fiducia reciproca possano essere la risposta a un mondo segnato dalla violenza e dall’indifferenza.
So che tu non ti volti davanti alla fragilità umana e resti accanto a chi soffre sperando in un futuro di pace, e per questo ti ringrazio di cuore. GRAZIE per quello che potrai fare per ridare fiducia e speranza a chi ha dovuto abbandonare tutto.
Un caro abbraccio,

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