Parole di carità – febbraio 2022

«Se vuoi, puoi guarirmi»

È iniziata la Quaresima, in un tempo che è ancora di pandemia e purtroppo, da qualche giorno, anche di guerra. In questi giorni, riflettendo sul tema della Salute, e in particolare sul significato della Guarigione, tanto vicino a quello della Salvezza, non posso non chiedermi che cosa possano voler dire queste parole in tempo di guerra.

Qual è il senso profondo delle guarigioni che Gesù compie coi suoi miracoli? E che cosa vuol dire guarigione per gli ospiti della Casa della Carità? Queste riflessioni possono aiutarci a capire in quale miracolo sperare e dove volgere lo sguardo per soddisfare, in questo momento così difficile, la nostra sete di miracoli?

Partiamo dal Vangelo: dalla donna emorroissa che guarisce dopo aver toccato il mantello di Gesù (Mc, 5.21-34), al lebbroso che gli dice semplicemente “Se vuoi, puoi guarirmi” (Mc 1, 40-45) fino alla persona sordomuta alla quale Gesù dona la capacità di ascoltare, prima ancora di quella di parlare (Mc 7,31-37). Ancora, penso al cieco dalla nascita (Gv 9,1-7) cui Gesù ridona la vista, diventando portatore di Luce.

Fede, Ascolto, Luce, sono queste le parole che risuonano nelle guarigioni del Vangelo. I malati si affidano a Gesù: è la loro fede a guarirli. E la guarigione è la possibilità di tornare ad avere relazioni, grazie a un nuovo ascolto, a un ritrovato “sentire”, con i sensi e con il cuore. Commentando il miracolo del sordomuto, Papa Francesco ha detto che “la guarigione del cuore comincia dall’ascolto. Ascoltare. E questo risana il cuore”. Ridà Luce, mi permetto di aggiungere. Per le persone cui Gesù ridona la salute, questa non significa dimenticare le sofferenze passate, ma poter reimmergersi nella pienezza della vita.

In questo senso, io lo dico sempre, guarigione non è dimenticare, eliminare il male, ma è stare il meglio possibile, entrare in relazione partendo da una condizione reale, dalla nostra finitezza. Non è un fatto miracoloso, ma una ricostruzione del vivere.

Per questo la parola cronicità non fa parte del mio vocabolario, non perché non riconosco la debolezza, la difficoltà di convivere con un malessere che non può “tecnicamente” guarire, ma perché in qualsiasi situazione che porta dentro il senso del male, anche incurabile, io vedo comunque la possibilità di una guarigione, nel senso di stare il meglio possibile, lasciando entrare la vita. Anche allo stadio terminale di una malattia, o in relazioni giunte a un punto di rottura, in una situazione che ha ormai dentro la parola fine, anche allora possiamo trovare cura della vita a partire dall’ascolto – si guarisce prima l’udito della parola! Così accade al sordomuto – e dalla tenerezza, dal tocco di una carezza – si tocca il mantello – così è per la donna emorroissa.

Ricordiamoci che Dio, facendosi uomo, ha accettato che suo figlio conoscesse la sofferenza e la mortificazione. Se guardiamo alla storia di Gesù, che poi risorge, capiamo che i miracoli non sono magie, scappatoie per evitare la sofferenza, ma una ribellione ferma al male, attraverso l’apertura al bene Effatà, “Apriti!”, dice Gesù al sordomuto guarito.

I miracoli del Vangelo ci indicano che per guarire e per far guarire, non bisogna sentirsi onnipotenti, ma occorre essere capaci di ascoltarsi, aprirsi e farsi domande. Siamo sotto la croce, guardiamo cosa porta la guarigione che viene dal cuore, dall’ascolto: Gesù dice al ladro crocifisso accanto a lui: Oggi sarai con me in paradiso. Vedi, con questa “guarigione”, aprendosi all’altro e perdonando, Gesù porta il riscatto dentro la Salvezza, la speranza nella Resurrezione.

Ecco, io vorrei che gli ospiti della Casa della Carità fossero continuamente inondati di speranza. Ora che è scoppiata la guerra in Ucraina, estendo questo mio augurio a tutti noi, che guardiamo attoniti quanto sta succedendo. Quando si dice gli ultimi, quelli tagliati fuori, quelli che non contano niente e quando a questa invisibilità si unisce il verdetto della “cronicità”, che implica separazione, contenimento, isolamento, di fatto si smette di sperare, di ascoltare la vita che pulsa nonostante tutto. E invece bisogna sempre instillare continuamente la vita fino all’ultimo istante, una vita che si arricchisce, attraverso il dono fondamentale che è la relazione. Questa, per me, è la salute. Ora è chiaro perché la salute non è solo sanità: è la vivacità della persona, le relazioni, l’affetto. E infatti, non c’è nessun miracolo che alla fine non sia restituzione alla comunità.

Credo che allora sia fondamentale superare lo stigma della sofferenza, soprattutto se è psichiatrica. Qui alla Casa della Carità è vietato definire la persona per la sua malattia. La si guarda per la sua ricchezza. Penso a una persona che abbiamo accolto e ascoltato, che ha un problema cronico al fegato. Viene spontaneo metterla nella categoria che corrisponde alla sua diagnosi. Dovremmo invece rovesciare la prospettiva, chiamando per nome le persone che soffrono: Beatriz, Mario e così via…
Sono donne e uomini che, come me, fanno parte della nostra comunità fragile, che trova la forza nella capacità di amare, relazionarsi, aprirsi. In questi giorni di guerra, per soddisfare la nostra sete di miracoli, dobbiamo seguire il metodo indicato da Giorgio La Pira, sindaco santo di Firenze, nel 1962, quando il mondo sembrava sull’orlo della guerra atomica. Disse La Pira, riprendendo una profezia del profeta Isaia: “Per non compiere il suicidio globale […] bisogna trasformare i cannoni in aratri e i missili e le bombe in astronavi e non devono più i popoli esercitarsi con le armi. Non uccidere ma amare”.

Come guariremo? Non so se e come, ma per sperare di guarire, dobbiamo ricostruire spazi di comunità, contribuire a creare una “civiltà dell’amore”, come la chiamava Paolo VI. No so se guariremo, ma sono certo che se vivremo nella pace e coltiveremo speranza, staremo il meglio possibile.

Sai che dico spesso che impariamo dai piccoli, dai poveri. Quando penso alla guarigione, penso alle persone guarite da Gesù: sono mosse dalla fede. Queste persone, come gli ospiti della Casa della Carità, non cercano Gesù pretendendo di essere guarite, ma si affidano. La guarigione li sorprende, li riempie di gratitudine perché donata. Sono persone umili che sanno riconoscere la gratuità e ringraziare per la bellezza dei doni, aperte come sono allo stupore per l’irrompere di nuova vita.

È di questo che spero ci lasci traccia la pandemia, che ha fatto sperimentare a tutti la fragilità. Spero ci aiuti a capire che ogni istante della vita è un dono. Questo è il grande senso del cammino pasquale, che non significa evitare il male per vivere la gioia della Resurrezione, ma camminare nella pienezza di ogni momento affrontando la vita, risorgendo con la capacità di amare senza limiti, perché è questo che dà l’accesso all’eternità.

A tutti auguro di vivere così la Quaresima: attraversiamo il deserto con la fiducia di trovare un’oasi dove dissetarci e riposare, per cominciare una nuova vita, nella gratitudine per tutti i doni che ci porterà. Affrontiamo la guerra e la violenza facendoci portatori di pace, prendendo esempio dalla tenerezza disarmante dei bambini. Agli ospiti della Casa della Carità, alle persone che stanno fuggendo, a chi sta vivendo nel dolore delle perdite voglio augurare la guarigione del cuore, dopo che insieme avremo lenito tutte le ferite, ci saremo presi cura delle cicatrici.

Grazie per essere con noi in questo cammino.
Un caro saluto,