«I giovani, l’adesso di Dio»
Le Parole di Carità di questo mese contengono le mie riflessioni sulle persone piccole, nel senso dell’età, ma anche della fragilità. Continuiamo a ragionare insieme nel solco del Vangelo della Cura, il filo rosso che attraversa la storia di Gesù e la visione che offre della cura. TI condurrò attraverso i valori, le riflessioni e le preoccupazioni, che animano l’accoglienza di bambine e bambini, ragazze e ragazzi alla Casa della Carità.
Siamo tutti piccoli, in qualche modo. Nel corso della vita, anche da adulti, ci capita di avvertire sia la fragilità sia la gioia e la forza della quale è capace il nostro “bambino interiore”. Sono sempre qui per ascoltare quanto vorrai condividere con me, con noi, sulla tua esperienza di “persona minore”. Potrai
raccontarmi un’esperienza che ti ha fatto crescere o ti ha fatto soffrire, senza temere alcun giudizio. GRAZIE per la tua amicizia e per la tua generosità, grazie per le riflessioni che condividerai con me, con noi.
Nel Vangelo i “piccoli” sono al primo posto. “Se non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli”. I “piccoli ci insegnano”, dico spesso, ed è proprio così ogni giorno, qui in via Brambilla 10 e in tutti i piccoli luoghi a Milano, come Casa Francesco e la Tillanzia, che li ospitano alla Casa della Carità. Oltre al Vangelo, anche i due grandi padri spirituali cui ci rivolgiamo per illuminare la vita della Casa, spendono parole importanti per comprendere il valore delle persone giovani. Papa Francesco dice che “i giovani non hanno l’esperienza, ma il fiuto della realtà e della verità” e ci mostrano come guardare a fondo nei nostri cuori. E il Cardinal Martini parlava della loro curiosità come un “indice di una capacità spontanea e innata di vedere a fondo le cose” e aggiunge che “anche per questo i bambini siano lodati da Gesù nel Vangelo e proposti come modelli da imitare”. I piccoli ci invitano a guardare a fondo, a partire da una competenza, che è tutta loro: la capacità di interrogarci, la curiosità, il fiuto per la verità.
In questi 20 anni di accoglienza e in tutta la mia vita di sacerdote mi sono occupato dei piccoli, ma anche di far crescere educatrici ed educatori, senza smettere mai di sorprendermi di quanto abbiano da insegnarci, come non mi stanco di ripetere. La nostra azione quotidiana parte comunque dall’idea che i minori – termine che non amo, perché insinua il dubbio che ci siano persone maggiori… – non sono cose, oggetti sui quali riversare i nostri sentimenti, contrattare. Non sono soprammobili da accarezzare.
Le persone piccole sono soggetti di diritto, hanno un’autonomia che viene in primis dall’essere persone, dal primo giorno in cui vedono la luce.
Questo cambia tutto lo sguardo su di loro. Prima di tutto sui loro diritti di appartenenza a una comunità, perché bambine e bambini hanno il diritto di avere non solo una famiglia e di essere cresciuti dai loro genitori, ma anche relazioni affettive indispensabili, dentro una comunità.
Per questo, accogliere minori non accompagnati – altra definizione che non amo, perché edulcora la loro solitudine, i traumi, le difficoltà enormi che hanno già vissuto anche a soli 10 anni – è importante per cambiare la cultura, a partire dagli strumenti che vengono offerti loro per sviluppare una rete di relazioni, la loro autonomia, le loro capacità. Accogliere i piccoli, a volte soli, a volte insieme alle loro famiglie, è una scelta portata avanti con autentico entusiasmo; ti assicuro che ha arricchito tutto il cammino di comunità della Casa della Carità.
È infatti grazie a loro che ho capito che quando si parla di affido, questo non possa che essere comunitario, che non c’è crescita o educazione senza l’accoglienza da parte di una comunità intera, senza l’offerta di relazioni forti e cariche di affetto, capaci di continuare indipendentemente. E questo avviene solo se ogni persona trova un ambiente che favorisce l’appartenenza. In questo senso, possiamo dire che il nostro lavoro è quello di rispettare le persone più piccole come soggetti, di nutrire la loro indipendenza, a partire però dai legami forti. E in questo modo di “assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze”, citando ancora Papa Francesco.
Qui alla Casa della Carità sappiamo di essere riusciti a costruire una comunità aperta per le persone piccole, quando sentiamo una bambina correre e ridere nei corridoi luminosi e ariosi, quando avvertiamo che un ragazzo si sente a casa perché ha reso proprio il suo piccolo spazio individuale nella stanza da letto, ma al contempo condivide con rispetto gli spazi comuni e se ne prende cura. Capiamo di aver fatto un buon lavoro e ci sentiamo inondati di gioia e di bellezza quando, dopo mesi di buio, vediamo aprirsi un sorriso enorme nella bambina di 8 anni che riceve in regalo, per la prima volta in vita sua, alcuni oggetti nuovi, comprati proprio per lei, un astuccio e dei pennarelli nuovi, un quaderno per la scuola.
Concordo pienamente con Papa Francesco che dice che le bambine e le ragazze, i bambini e i ragazzi, non sono il futuro, ma l’”adesso di Dio”. È adesso, ogni giorno, che dobbiamo “farci prossimi” ai piccoli, per lasciare che costruiscano loro il futuro, da soggetti, appunto, per renderli protagonisti di una società coesa, giusta, fraterna, amica.
Questo non significa però abdicare al ruolo di educatrici ed educatori, che e-ducono, cavano fuori, lasciano germogliare. Questi piccoli e spesso anche i loro giovanissimi genitori sono cresciuti fra le onde e arrivano qui con un bagaglio già pesantissimo di fatiche, sofferenze e spesso anche responsabilità, se dovranno inviare i pochi spiccioli che guadagnano all’inizio della loro vita professionale alle famiglie in Africa, in Asia. Come Rashid, del quale ti scriviamo nella lettera, che infatti fa molta fatica a capire l’importanza di formarsi, perché ha tanto bisogno di lavorare, anche se ha solo 17 anni. È per questo che ci siamo, che stiamo loro vicini tutto il tempo necessario e ce ne prendiamo cura, ecco il Vangelo della Cura. Ci impegniamo insieme a te perché “la pietra scartata dai costruttori” divenga “pietra d’angolo”(Sal 118, 22).
Ti confesso di essere molto preoccupato per il futuro prossimo. Siamo al termine di un’estate torrida, in cui più volte la Terra, la nostra Casa comune, ha superato la temperatura media mai registrata. Gli studi ci avvisano che se non invertiamo la rotta dello sfruttamento scellerato del pianeta che abitiamo insieme a tutte le creature viventi, fra pochi decenni vaste aree geografiche diventeranno inadatte a ospitare la vita. È stato calcolato che nel 2050 216 milioni – hai capito bene, 216 milioni – di persone saranno obbligate a migrare dal loro Paese. E i piccoli? Già oggi non riescono neanche a sopravvivere nei grembi delle loro mamme o al parto, a causa dei naufragi durante le migrazioni, non oso immaginare cosa succederà quando li spingeremo fuori dalle loro case.
So che la tua amicizia è coraggiosa, che riconosci il valore dell’educazione, che vuoi prenderti cura delle persone giovani e piccole accolte alla Casa della Carità. Che anche tu capisci che sono “l’adesso di Dio” e che adesso debbano essere aiutate a costruire il loro futuro.
GRAZIE per quello che potrai fare per ciascuna di loro.
Un abbraccio riconoscente,
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