Parole di carità – agosto 2022

«Piccoli, disturbateci»

Per dialogare con te sul significato di infanzia, di crescita, di educazione oggi partirò dal Vangelo e in particolare dal momento in cui Gesù disse: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso.” Così dice Gesù a chi invita alcuni bambini a non disturbarlo. Cosa vuole dirci? Che i bambini, i piccoli, non solo non disturbano, ma indicano la strada per conoscere Dio, affidandosi a lui, cercandolo per toccarlo. E che solo così, affidandosi, si può entrare nel regno dei cieli.

Gesù ci invita a capovolgere la prospettiva, accogliendo il fatto che i piccoli impongano un ritmo diverso di vita, il fatto che ci “disturbino”, come un’opportunità enorme. Quando una bambina, un bambino è nella tua vita, non puoi fermarti a riposare, finché non sta riposando anche lei o lui. Nel Vangelo, i discepoli sgridano i bambini perché non disturbino il maestro che è stanco, e Gesù si ribella perché non capiscono che quel chiasso esprime il loro desiderio impellente di stargli vicino.

Più volte, nella storia del suo Pontificato, anche Papa Francesco è stato “disturbato” dai bambini che facevano irruzione salendo sul palco delle udienze, costringendolo a uscire dal cerimoniale. Una volta, Francesco ha detto: “I bambini piangono, fanno rumore, vanno di qua e di là. Ma mi dà tanto fastidio quando in chiesa un bambino piange e c’è chi dice che deve andare fuori. Il pianto del bambino è la voce di Dio: mai cacciarli via dalla chiesa.” La voce di Dio, proprio così; si capovolge la prospettiva: il pianto, un rumore che può dare fastidio, in verità è il suono della voce di Dio. Un’altra volta, di fronte a un bambino muto che era salito sul palco perché voleva a tutti costi giocare con lui, prendere la sua papalina durante un’udienza pubblica, Papa Francesco disse a tutti i presenti che quel bambino aveva dato a tutti una grande lezione, quella del “coraggio di avvicinarsi a Dio” senza paura, muovendosi su quel palco come a casa propria, agendo da persona libera di cuore.

In tutta la mia vita da sacerdote, nel mio coltivare solidarietà, l’aspetto di cura, di diffusione di cultura, di promozione dei valori sono stati elementi capaci di innervare il processo educativo dei piccoli. Voglio dire che partire da loro, siano essi minori o meno, non è soltanto un’attenzione di carattere assistenziale, ma è proprio un asse strategico del nostro operato alla Casa della Carità.

I piccoli giocano. Non si cresce senza giocare, non si apprende solo con lo studio, non ci può essere infanzia senza gioco. E infatti, abbiamo visto anche in questi ultimi drammatici mesi, bambini feriti e bambini che non perdono la vivacità, la voglia di giocare, anche in mezzo al fango, anche in mezzo alle bombe.

Sono figlio unico e sono cresciuto in una famiglia semplice, povera. Per me, da sempre, il gioco è stato fondamentale: quando ero bambino a scuola, quando ero ragazzo, anche in seminario aspettavo sempre la ricreazione. Per giocare con le figurine, per giocare a basket. Perché l’oratorio prima, gli spazi e i tempi liberi – ecco che torna la libertà – degli anni del seminario erano quelli che nutrivano poi la disciplina necessaria per lo studio. I momenti di gioco erano spazi di incanto, di allegria, gioia, ma anche di concentrazione, di immersione nel presente e di apprendimento delle regole del convivere, del condividere fatiche e soddisfazioni.

La Casa della Carità si prende cura dei bambini insieme alle loro famiglie, proteggendo con tutte le forze il tempo dell’infanzia e della giovinezza, che deve essere un tempo di innocenza, tenerezza, bellezza e di allegria. Per questo, cerchiamo di creare tutte le condizioni perché i ragazzi che accogliamo possano studiare, impegnarsi, ma anche giocare. Solo così si può costruire insieme a ciascuno di loro un futuro solido.

Ho bellissimi ricordi di questi vent’anni in cui mi sono lasciato contagiare dai piccoli, dalla potenza del loro irrompere nelle vite degli adulti, con il loro bagaglio di tenerezza e spontaneità. Quella volta che ho avuto l’onore di assistere a un parto e dopo qualche tempo di sentirmi chiamare nonno da quel bambino che letteralmente avevo visto nascere. Quella volta che ho visto la gioia negli occhi di una bambina che per la prima volta metteva sulle spalle una cartella sua. Quella volta che ho visto piangere le mamme di una baraccopoli di Milano perché i figli si vergognavano ad andare a scuola con i loro vestiti sporchi di fango. Quella volta che una di quelle stesse madri mi ha detto con gioia incontenibile che il figlio era stato preso al Conservatorio e che lì lo chiamavano “il genio” per la sua bravura a suonare il violino. Quella volta che un’altra di loro mi ha raccontato del bel 27 che la figlia ha preso all’Università. Tutte le volte che un ragazzo ormai grande, figlio di una famiglia accolta, che tante volte ha giocato vicino a me, viene a farmi la barba per dimostrarmi la sua gratitudine.

Sono tempi bui, tristi, che potrebbero spingerci ad abbandonare le speranze in un futuro migliore. Queste ragazze e questi ragazzi che la Casa della Carità ha avuto l’onore di accogliere, dai quali ha potuto imparare cosa vuol dire avere fiducia, sperare, guardare il futuro senza paura, ci rafforzano nell’idea di continuare con questo lavoro paziente di semina, come lo definiva il Cardinal Martini. Sappiamo che dovremo aspettare: che germoglino, che fioriscano, che diano frutti. Sappiamo anche che il futuro avrà il colore vivo dei loro frutti.

Ma sappiamo che tu sei insieme a noi. Grazie a te, alla tua attenzione ai progetti di accoglienza rivolti ai piccoli della Casa della Carità possiamo sperare di poter regalare futuro, nutrire fiducia, costruendo passo dopo passo un avvenire solido. Vedremo insieme i risultati di questo lavoro paziente e saremo contagiati dalla gioia di chi è libero grazie alla cultura. E grazie alla possibilità di aver potuto giocare da bambino.

Ho letto con commozione i messaggi di risposta a queste mie riflessioni e desidero ringraziare tutti quelli che hanno dedicato un po’ di tempo al nostro dialogo. Grazie a questa partecipazione, possiamo sentirci parte di una comunità. Fra pochi giorni inizieranno le scuole e i corsi di formazione e tu potrai essere determinante nella crescita delle bambine e dei bambini accolti alla Casa della Carità. Grazie a te, i piccoli accolti qui potranno guardare il loro futuro con speranza.

Un saluto affettuoso,