Parole di carità – Aprile 2022

«Insieme, possiamo costruire un giardino di pace»

Abbiamo gli occhi e il cuore profondamente segnati dal dramma della guerra, da ciò che abbiamo vissuto e stiamo vivendo ormai dallo scorso 24 febbraio, 2 mesi fa, quando ci siamo svegliati e abbiamo scoperto che Putin aveva invaso l’Ucraina. Questa guerra così vicina ci è entrata dentro, ci ha sconvolti.

La Casa della Carità, che da sempre ospita persone che si trovano in una improvvisa situazione di emergenza provenienti da tutto il mondo, da tutte le guerre, anche quelle dimenticate, anche questa volta non ha aspettato per fare la sua parte.

Prima di tutto, pregare e manifestare: abbiamo organizzato una fiaccolata, intensa e commovente, il Mercoledì delle Ceneri, il 2 marzo, per pregare tutti insieme per la pace nel giorno di digiuno cui ci ha invitati Papa Francesco. Abbiamo chiesto alle sorelle e ai fratelli che abbiamo accolto dall’Afghanistan lo scorso settembre – l’ultimo esodo di massa, prima di questo, solo pochi mesi fa – di unirsi a noi in preghiera.

E poi, accogliere, aprire le porte. Ci siamo organizzati per accogliere le persone che sono arrivate in Italia dall’Ucraina, nel più grande esodo mai visto nella storia, come ti raccontano i documenti inviati insieme a questo Parole di Carità.

Durante tutta la Quaresima, siamo stati con il cuore vicini ai poveri cristi che facevano la via crucis dei sotterranei della storia, dei mezzanini, rifugiati com’erano sottoterra, per ripararsi dalle bombe. Abbiamo tenuto negli occhi le immagini dei figli strappati ai padri che rimanevano a combattere, ma anche altri figli, ragazzi giovanissimi, strappati alle loro compagne, mogli, madri, alle loro sorelle e ai loro fratelli. Abbiamo incrociato gli sguardi sgomenti dei soldati russi, altri giovanissimi mandati al fronte con l’inganno a combattere contro i loro fratelli e sepolti senza nome.

Abbiamo vissuto il Triduo pasquale insieme, e ci siamo uniti a Gesù, il figlio di Dio, che dalla croce dispera e chiede: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Sal 22, 21).

Pochi giorni fa, è arrivata la Pasqua.

Credo che la Resurrezione di Cristo debba essere per noi un’occasione per lasciarci invadere, inondare dalla speranza, nonostante tutto. La stessa speranza che spinge Gesù ferito a morte, subito dopo aver dubitato della presenza di Dio, a trovare il coraggio di affidarsi comunque a Lui, addirittura chiedendo il perdono per chi lo ha messo in croce.

Vedi, Resurrezione è ricostruzione. Rimaniamo insieme per sperare e per coltivare nuovi semi, per scorgere “nuovi cieli” come dice Giovanni nell’Apocalisse.

Proseguo sulle riflessioni sulla Resurrezione come rigenerazione, rinascita, condividendo con te un particolare della scena del mattino di Pasqua, quando la Maddalena scopre con sgomento che il sepolcro di Gesù è vuoto, la pietra spostata. Va ad avvisare Pietro, poi corre indietro e inizia a piangere disperata. Accanto a lei un uomo, che ha scambiato per il giardiniere, si avvicina e le rivela di essere Gesù, chiedendole di diffondere la notizia ai suoi compagni.

Perché mi soffermo su questo angolo di visuale del racconto della Resurrezione di Gesù? Per due motivi precisi: innanzitutto, il giardino è una metafora del creato – il giardino dell’Eden. Inoltre, è un altro giardino, quello del Getsemani, il teatro dell’arresto di Gesù. Da lì, seguirà il processo, la condanna e la crocifissione. E mentre viene arrestato, Gesù pronuncia una sorta di manifesto di non violenza, bloccando Pietro che vuole difenderlo con questa frase: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada” (Mt 26, 47-56).

Il Gesù tradito nell’Orto degli Ulivi sceglie di risorgere sotto le sembianze di un giardiniere. Ecco, con questa immagine possiamo pensare che Gesù ci voglia far riflettere, con le conseguenze di questa guerra terribile, su quanto sia importante riannunciare la Resurrezione. Oggi che tutto sembra distrutto, partiamo dalla ricostruzione di tutto ciò che ci circonda, del creato, dei cuori.

Non so dirti quanto ho pregato il Crocifisso in questo tempo di Quaresima così lacerato, e ho pregato perché tutti non perdessimo il coraggio di sperare in “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (Ap 21,1).

Come usciremo, tutti, da questa ennesima guerra insensata? Come? Non possiamo uscirne da vincitori, comunque sia andata, perché le guerre sono una sconfitta per definizione, ma dovremo continuare a gridare “rimetti la spada nel tuo fodero”, il nostro no alle armi, alla guerra, ovunque accada, vicina o lontana da noi. Dobbiamo costruire una pace “preventiva”, che prevenga qualsiasi altro conflitto armato d’ora in avanti. Per sempre.

Stiamo conoscendo un’altra volta l’orrore e abbiamo provato forte la tentazione di non perdonare e di non perdonarci, ma ricordiamoci quello che scriveva Etty Hillesum nel suo diario: “basta che esista un solo essere umano degno di essere chiamato così, per credere negli uomini e nell’umanità”.

Allora proviamo a pensare alla nostra umanità ferita come a un’umanità dei risorti, che coltivano, nonostante tutto questo orrore, un pensiero fecondo, capace di farsi travolgere dalle emozioni. Diciamo no all’odio, rispondendo con l’amore, con il perdono e con la compassione.

Ma possiamo risorgere solo se renderemo la nostra terra ospitale e, nel nostro piccolo, alla Casa della Carità, solo se tutte le volte, ancora una volta e poi un’altra, saremo in grado di donare la nostra casa di compassione, vicinanza e ascolto a tutti coloro che sono in fuga dalla guerra, dalle catastrofi.

E la nostra parte, qui alla Casa della Carità è aprire le porte, allargare le braccia, accogliere. Questa è la nostra responsabilità, l’ospitalità degli ultimi degli ultimi.

Da sempre qui accogliamo anche persone che improvvisamente vivono l’emergenza di non avere più una casa, una galleria o una baracca in cui vivere. Lo abbiamo fatto sin dall’inizio, lo facciamo in questi giorni con le persone in arrivo dall’Ucraina e lo faremo sempre. In questi anni di pandemia, abbiamo visto crescere enormemente la richiesta di questo tipo di ospitalità, che definiamo appunto ospitalità in emergenza. Anche quando si trattava di una singola persona, di una piccola famiglia, non ci siamo mai sottratti dall’offrire aiuto, facendoci travolgere da quello che io chiamo “fiume dell’ospitalità”.

Sarebbe bellissimo se anche tu ti immergessi insieme a noi ancora una volta in questo fiume di acqua fresca, trasparente, sempre nuova, sotto cieli nuovi e mondi nuovi di fraternità.

Che la pace sia con te,