Accogliere è un desiderio da innamorati
In questo numero di Parole di Carità, nell’approssimarsi del Natale, ci troviamo a riflettere su quanto l’accoglienza possa trasformare la vita, non solo di chi arriva fragile, ma di chi sceglie di aprire il cuore. Alla Casa della Carità ogni giorno sperimentiamo come l’accoglienza non sia solo un gesto, ma un modo di vivere: una disponibilità ad “andare verso”, a rispettare la dignità dell’altro, a costruire relazioni che aprono speranza e fiducia.
Chi o cosa ti ha insegnato il valore dell’accoglienza nella tua vita? Chi è stato pronto ad aiutare senza giudizio te o qualcun altro, e come ti ha fatto sentire? Spero vorrai condividere le tue riflessioni con me, se ti va. Intanto ti ringrazio di cuore!
Vorrei partire da una frase che ha scritto un poeta francese, Christian Bobin: “Accogliere è un desiderio da innamorati”. È una frase che ci introduce al mistero del Natale e al mistero dell’accoglienza dell’altro e, in fondo, della vita stessa.
Maria di Nazareth, una giovane donna della Palestina, colonia romana, si lascia interpellare da una Parola “alta e altra” che le chiede di fare spazio all’accadere di Dio. I racconti del Vangelo sono “zippati”: poche righe, ma dentro c’è un mondo. Se provassimo a espanderli, a entrare nei movimenti del cuore di Maria, la sentiremmo più umana, più vicina, maestra di desideri veri, innamorata, appunto.
Chi è innamorato, infatti, non si chiude in se stesso, ma si apre a una nuova possibilità; non si protegge, ma si espone all’amore, si fida della vita che accade. Maria accoglie una vita come un dono e così l’amore diventa accoglienza, e l’accoglienza diventa un modo di amare. In quel sì pronunciato da Maria, in quella disponibilità semplice e coraggiosa, si nasconde il cuore del Natale: Dio che chiede ospitalità all’umanità e trova posto in un grembo, in una famiglia.
Alla Casa della Carità, l’accoglienza è il cuore pulsante di tutto. Quando qualcuno bussa, gli si apre. E se anche “è tutto pieno”, ci si inventa sempre un modo per ospitare, per farsi vicini, per far sentire l’altro al sicuro. Perché? Perché siamo innamorati dell’altro che incontriamo. Accoglienza fa rima con dignità, e l’umanità che incontriamo, soprattutto quella ferita, ci obbliga a non lasciare nell’astrattezza queste parole
Come nella storia della famiglia che accompagna queste Parole di Carità, arrivata da poco a Milano, con un bambino da curare e un futuro tutto da ricostruire. Quando Hakim, Sabah e il piccolo Younes hanno bussato alla nostra porta, le operatrici e gli operatori della Casa si sono mossi, ognuno facendo il proprio pezzo per fare spazio, per accogliere.
“Accogliere è un desiderio da innamorati”, abbiamo detto, e la Casa della Carità è una casa innamorata della vita. Ci crede alla vita. Desidera che la vita vada avanti nonostante tutto, nonostante la guerra, la paura, la chiusura e l’indifferenza. Nonostante alcune vite sembrino finite in un buco nero, da cui appare impossibile uscire. Ogni famiglia che accogliamo ci ricorda che la nostra Casa nasce per essere una famiglia più grande: dove le storie diverse si intrecciano, e dove nessuno è solo.
Alla Casa della Carità, accogliere è un “andare verso”. Non si tratta solo di aprire una porta, ma di fare il primo passo.

“Andare verso” è anche il nome di un’équipe di lavoro della Casa, ma prima ancora è una postura del cuore. Significa non restare fermi ad aspettare chi chiede aiuto, ma andare incontro a coloro che non riescono a chiedere di essere aiutati o presentano richieste in modo debole, indiretto e frammentato. È un movimento che somiglia a quello del Natale: Dio che non aspetta, ma viene verso di noi, a mani vuote, per condividere la nostra vita.
E se uno si muove verso l’altro è invitato a farlo offrendo uno spazio non prepotente. Cosa vuol dire? Significa che dobbiamo diventare come il grembo di una donna che fa spazio a un bimbo. Perché se sono pieno di me stesso e delle mie idee, se mi illudo di possedere tutto o di sapere tutto, non mi viene neanche in mente di offrire uno spazio.
Quale consapevolezza ci chiede, dunque, l’andare verso l’altro? Quale forma deve prendere la nostra carne? Penso che si tratti della consapevolezza del nostro essere incompleti. Va verso l’altro, infatti, chi è in ricerca, chi conosce anche il proprio vuoto, la propria piccolezza. È questa coscienza del “vuoto buono” che accompagna Casa della Carità. E l’accoglienza nasce da questa disponibilità a viaggiare nella vita con questo vuoto interiore, un vuoto che permette di non scandalizzarsi della propria debolezza e di non scandalizzarsi della debolezza altrui.
A predisporci all’accoglienza dell’altro ci deve essere un’intuizione, un presentimento: quando si ha a che fare con la vita, i semi del verbo di Dio sono disseminati ovunque. È accorgersi che gli altri che sono davanti a te non sono vasi vuoti da riempire – anche se può capitare di essere vuoti –, bensì pozzi a cui poter attingere. È un “andare verso” reciproco. E sì, i semi del verbo di Dio sono disseminati ovunque.
Quando ci si sente accolti da uno sguardo umile, si viene invogliati a uscire fuori dai nascondigli e a mostrarsi nella propria fragilità. È quello che nella famiglia di Hakim, Sabah e Younes, di cui parliamo della lettera, ha vissuto soprattutto mamma Sabah: quando è arrivata con il marito e il figlio, Sabah era timida e chiusa, vestiva spesso di nero. Il cambiamento in lei è arrivato quando ha imparato a conoscere le operatrici e gli operatori della Casa, quando ha capito che qui poteva davvero ricominciare a sognare una vita più bella con la sua famiglia. E allora le preoccupazioni hanno lasciato lo spazio alla spontaneità, il nero che portava si è trasformato in colori vibranti.
“Eccomi!”, dice Maria all’angelo. “Eccoci!”, ripete ogni giorno la Casa della Carità a chi bussa alla sua porta per cercare un rifugio, una parola, uno sguardo che lo riconosca.
E allora sì: accogliere è davvero un desiderio da innamorati. Un desiderio che ogni Natale si rinnova, ci ricorda chi siamo e ci tiene in cammino, insieme, verso l’altro e verso Dio.
Ti ringrazio perché so che anche tu, come noi, condividi con noi questo desiderio di accoglienza, questo “desiderio da innamorati”. Ed è proprio grazie a chi, come te, sceglie di “andare verso” le persone e le famiglie fragili, che la Casa della Carità può trasformare questo desiderio in realtà.
Ti auguro di cuore un buon Natale,

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