Dove i giovani sognano, nasce il futuro

Questo numero di Parole di Carità arriva nel mezzo dell’ennesimo capitombolo del mondo, provocato dalla sete di potere, dalla brama di avere e dal desiderio di apparire di pochi uomini, che si sono arrogati il diritto di decidere da soli la sorte di milioni di persone.

Sono le tre tentazioni da cui passa anche l’umanità di Gesù quando, nel deserto, il diavolo cerca di spingerlo a scegliere la via del successo terreno, del possesso materiale e dell’esibizione. E come risponde il profeta di Nazareth? Facendo riferimento non alle proprie forze, non a una strategia particolare ma dicendo: “Sta scritto…”, affidandosi cioè alla Parola di Dio.

Come Gesù nel deserto, anche oggi, nel mezzo del fallimento collettivo provocato dall’avidità di pochi, c’è chi continua a sognare, a ricostruire, a generare vita. Sono persone che non si affidano alla logica del mondo, ma a una forza più profonda: quella del sogno, della Parola, della speranza ostinata.

Come i palestinesi di Gaza che, nonostante quello che hanno subito, ancora dicono “Amiamo la vita”. Lo ha testimoniato qualche mese fa Angelo Rusconi, di Medici Senza Frontiere: “A Gaza impari che il bivio davanti a te non prevede una terza via: o si dimezzano i sogni o si aumenta il coraggio”.

Negli esercizi spirituali 2025 per la città di Milano, padre Ermes Ronchi ha detto: «Quello di cui non mi capacito è che gli uomini vedano come vanno le cose eppure continuano a sperare, continuano a partire; vedono rovine e cantano al futuro, portano in grembo un bimbo. Perché? Perché “siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni” (Shakespeare) e i sogni son leggeri eppure muovono il mondo».

Senza sogni il mondo si ferma, marcisce. Per questo, nel contesto drammatico che viviamo, vorrei guardare con te a due scenari di speranza, incarnati, non a caso, dai giovani.

MSNA Casa Francesco

Del primo scenario fanno parte migliaia di ragazze e ragazzi che hanno trascorso l’estate in un Oratorio, nei centri estivi comunali o nei vari campus. Penso agli ospiti della Casa della Carità, che hanno vissuto l’esperienza del campeggio in Valle d’Aosta, grazie alla disponibilità della parrocchia di Legnano. Penso al milione di giovani che ha partecipato al Giubileo con Papa Leone XIV. E penso a quelli che si sono lasciati interpellare dall’incontro con altre culture e modi di vivere, sperimentando esperienze di servizio accanto ai più poveri in Italia – tanti sono passati anche dalla Casa – o all’estero.

Il secondo scenario vede il movimento “arrabbiato” e, nel medesimo tempo, carico di speranza di tanti giovani, minorenni e non, che fuggono da situazioni di guerre e povertà che ne compromettono il presente e il futuro. Come Reda, giovane ospite di Casa Francesco (la comunità per minori stranieri non accompagnati di Casa della Carità), che sogna di diventare un parrucchiere in Italia per aiutare la famiglia rimasta in Egitto. Questi giovani scappano, cercano vita, lavoro e lo fanno da soli o ricongiungendosi a familiari che li hanno preceduti. Sempre più spesso, come racconta don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria, arrivano già “rotti dentro”. E però portano sempre dentro di sé speranza e sogni.

Non sono, questi due scenari, mondi contrapposti. Sono parte di una stessa realtà che ci parla appunto di speranza, di futuro, che ci interpella. E che cosa chiedono questi giovani a noi adulti?

Innanzitutto di essere contenti della nostra adultità e di non scimmiottare l’età giovanile. Lasciamola a loro. Il tempo adulto è quello in cui fare sintesi della nostra vita: che cosa di vero – nel linguaggio biblico si usa l’aggettivo “eterno” – resta dopo tutti gli anni che ho vissuto? Che cosa, pur nella precarietà che mi caratterizza, mi dà il “la” per ricominciare ogni giorno la vita? E qui, davanti ai nostri errori grandi o piccoli, occorre permettere alla Parola di Gesù di lasciarci dire: “Tu non sei il male che hai fatto”.

Infine, ci chiedono di essere, continuamente e insieme a loro, cercatori di infinito; donne e uomini che si nutrono di una parola “altra e alta”. Lo vediamo da come uno cammina: se con la testa ripiegata o in cerca di sguardi.

Perché insieme alla speranza il futuro lo incontrano relazionandosi con noi adulti. Se ci mostriamo impauriti di perdere la giovinezza, rinchiusi in noi stessi e incapaci di sognare, che cosa lasceremo a ragazze e ragazzi, adulti di domani?

Insieme a operatrici e operatori, mostriamo alle persone ospiti un mondo senza veli, ma non per questo senza visioni, così che, nel provare a riprendere in mano la loro vita, possano tornare a sognare.

Ti ringrazio perché so che anche tu, come noi, credi nei sogni che resistono, soprattutto quando nascono in mezzo alla fatica. GRAZIE di cuore per ogni volta in cui scegli di restare in ascolto, di accompagnare, di credere ancora in un futuro migliore. È anche grazie a te se, insieme, possiamo continuare a sognare un futuro più umano, più giusto, più vero.

Un abbraccio riconoscente,

firma don Paolo Selmi

Clicca qui per leggere gli scorsi numeri del Parole di Carità.