25 gennaio 2018
Pietro è uno dei nonni di Casa della carità, uno di quegli anziani che si ritrovano a mangiare, a parlare, a passare il tempo insieme. Ha da poco compiuto 93 anni, ma ne aveva solo 18 quando, insieme a suo fratello e ad altri coetanei, è stato rastrellato dal quartiere Adriano, dove viveva e lavorava come garzone in una panetteria, e internato in un campo di lavoro in Germania.
Tornando con la memoria a quei giorni, alcuni dettagli sfuggono, ma c’è qualcosa che Pietro ricorda bene: la parola “Ziegelfabrik”, fabbrica di mattoni, il luogo dove è stato costretto a lavorare, insieme a una ventina di ragazzi italiani, quasi tutti milanesi, tredici ore al giorno e con poco, pochissimo, da mangiare. Dopo due anni di lavoro forzato, passati a produrre mattoni o a riparare e pulire vagoni ferroviari, alla vigilia della resa della Germania Pietro riesce a fuggire. Una fuga lunga più di un mese, a piedi, muovendosi solo di notte, al buio, nascondendosi di giorno, rubando qua e là qualcosa per calmare la fame e recuperare le forze.
Pietro, alla fine, ce l’ha fatta. È riuscito a tornare a casa, a Milano, in via Adriano dove per anni ha gestito la cartoleria avviata dai genitori e tra matite e quaderni, profumi e giocattoli, ha visto passare centinaia di ragazzi che, per fortuna, nei loro diciott’anni non hanno conosciuto gli orrori della guerra e del nazifascismo.
Pietro, come altri dei nostri nonni, è un testimone. I ricordi, le storie di vita che spesso gli anziani che frequentano la Casa ci raccontano, ci spronano a non ripetere gli errori, ci ammoniscono a non sottovalutare nessuna minaccia, a non scherzare con le parole come invece fa chi, a cuor leggero, parla di “razza bianca” ottant’anni dopo le leggi razziali, i campi di concentramento, l’orrore dell’Olocausto.
Liliana Segre, ebrea milanese sopravvissuta ad Auschwitz e da pochi giorni nominata senatrice a vita, ha detto: “Noi testimoni della Shoah stiamo morendo tutti, ormai siamo rimasti pochissimi, le dita di una mano, e quando saremo morti proprio tutti, il mare si chiuderà completamente sopra di noi nell'indifferenza e nella dimenticanza. Come si sta adesso facendo con quei corpi che annegano per cercare la libertà e nessuno più di tanto se ne occupa”.
Chi oggi aizza un clima di ostilità contro i diversi, gli emarginati, i migranti, chi divide l’umanità in due, da una parte gli eletti e dall’altra gli esclusi, rischia di creare le condizioni per tornare indietro nella storia. Una storia che, ci ha insegnato appunto Liliana Segre, è stata segnata dall’indifferenza di quanti si voltavano dall’altra parte, facendo finta di non vedere quello che accadeva.
Noi non vogliamo far finta di niente e nel Giorno della Memoria, come ogni giorno, ci impegniamo a non dimenticare, e a lavorare al fianco di chi oggi rischia di essere vittima di quella stessa indifferenza, continuando a garantire aiuto e cura, ospitalità e accoglienza senza distinzione di nazionalità, provenienza, fede, cultura, e a lavorare affinché i diritti negati siano riconosciuti a tutti.