19 luglio 2015
“È stato un viaggio
difficilissimo. Avevo paura, ma ho pregato tanto. Ho pianto e ho pregato, e
grazie a Dio ora siamo in un posto sicuro”. A raccontarlo è Nafisa, 40 anni,
una delle mamme che, con i suoi due figli, da alcuni giorni è ospite del CeAS, nell’ambito
del progetto di accoglienza realizzato in collaborazione con la Casa della
carità.
Nafisa, dopo la fatica dei primi giorni, ora appare tranquilla. Arriva
dall’Etiopia. Il marito, oppositore politico, è stato ucciso, così come, forse,
suo figlio più grande, del quale non ha più notizie. Allora Nafisa ha deciso di
lasciare il suo Paese e venire in Europa, in cerca di un luogo dove vivere
serenamente insieme agli altri suoi due figli: una ragazza di 14 anni e un
bambino di 11. Nella stessa casetta di Nafisa alloggia anche Nuss, 26 anni, che
proviene dall’Eritrea. Anche lei ha lasciato il suo Paese, e vorrebbe
raggiungere il marito in Svezia con il suo bimbo di 5 anni. “È vivacissimo”,
dicono di lui gli educatori del Centro Ambrosiano di Solidarietà, che seguono
costantemente i profughi.
Verso il nord Europa vorrebbero
dirigersi anche le altre tre coppie di giovanissimi, hanno tra i 19 e i 24
anni, che ancora sono ospitate al Parco Lambro. In Etiopia, raccontano,
frequentavano le scuole superiori. “Il governo, però, non è a favore del fatto
che le persone progrediscano negli studi – spiegano - e poi anche se fossimo andati avanti, non ci
sarebbero state prospettive per il nostro domani”.
Oltre all’incertezza per il futuro, a spingere Mojahid e Rosa, Muhammed e Fatiya e Abdelmalik con Samira ad andarsene è stata anche la forte repressione che, specialmente negli ultimi anni, il governo etiope sta portando avanti nei confronti del gruppo etnico degli Oromo, cui loro appartengono. Il padre di Muhammed, ha confidato lui, è in prigione da 10 anni. “Non volevo fare la sua fine e sono scappato”.
Partiti dall’Etiopia, hanno attraversato il Sudan per poi approdare in Libia. Qui si sono fermati, chi alcuni mesi chi fino a due anni, e hanno lavorato come autisti per guadagnare i soldi sufficienti per pagarsi il viaggio che li avrebbe portati in Europa. Ora vorrebbero andare verso il nord, come hanno già fatto la scorsa settimana altre tre giovani coppie che erano ospitate al CeAS, che sono riuscite a raggiungere amici e parenti. “Magari in Germania o in Inghilterra – dicono – anche se ancora non sappiamo come faremo”.
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